“Quando il colle di nascita è più desolato, mi pare di vederti sull’asino, col tuo catechista, a fare il sentiero, col tuo Vangelo… nella guerra civile scelse la parte di fare il bene ai poveri, ai deboli, beati pauperes, con l’alfabeto terrestree celeste”Antonio Faccio
Lapio di Arcugnano 23 luglio 1929
Guatemala 1 luglio 1981
‘En esta aldea non se permiten delitantes’: In questo villaggio non si tollerano dilettanti, legge un giorno p. Tullio mentre a dorso di un cavallo fa il suo ingresso in uno dei villaggi guatemaltechi della zona di Izabal cui era stato assegnato.
Lo avevano avvisato che stava rischiando grosso: quel padre francescano che non nascondeva la sua predilezione verso la povera gente non piaceva a chi viveva sfruttando la miseria altrui.
Vedrete che non darò disturbo a nessuno, aveva detto ai suoi superiori, preoccupati per la sua incolumità. Sapeva benissimo tuttavia che non poteva fare passi falsi: già da un pezzo volavano minacce contro di lui. Come se non bastasse, poi, si erano aggiunte pure le calunnie: lo si accusava di favorire i guerriglieri, con generi alimentari e armi introdotte nel paese dalla frontiera. Di più: lo si tacciava di comunismo, una diceria che in quell’ambiente e in quei tempi era tutt’altro che innocua.
P. Tullio tuttavia non si lascia intimorire. Si convince piuttosto della necessità di usare una maggior prudenza in ciò che dice, che fa. D’altra parte è la sua stessa indole docile e amabile a tenerlo lontano dagli scontri aperti, dichiarati. Anche quando predica p. Tullio è così: preferisce annunciare, piuttosto che fare della denuncia, come ricordano i suoi parrocchiani.
Eh sì che le conosceva bene le lacrime di quella gente: tante volte, infatti, seduto accanto a loro, tra i sassi, aveva ascoltato il racconto delle loro sofferenze. ‘Ho potuto costatare come chiamasse ciascuno per il suo nome’, confesserà un giorno con aria stupita il suo vescovo.
Per questo lo amano e lo cercano i suoi campesinos: quell’instancabile missionario che gira con pochi spiccioli in tasca li sa ascoltare, incoraggiare, difendere. Con loro è semplice, nei gesti, nelle parole. Come quando cerca di spiegarsi facendo loro intendere che devono dichiarare la proprietà delle terre che hanno dissodato. Altrimenti i latifondisti avrebbero finito con l’appropriarsene in modo indebito oltre che disonesto.
Non è facile tuttavia far valere i diritti della povera gente in quel paese: ‘se qualcuno difende quel poco che ha, viene ucciso’, commenta con rammarico un parrocchiano.
Con la ‘judicial’, poi, non c’è da scherzare: tutti sanno che quelli della polizia segreta e paramilitare ‘prima agiscono e poi pensano’. Così insegna infatti un detto popolare molto conosciuto da quelle parti.
Anche p. Tullio respira quest’aria gravida di minacce, di intimidazioni, di continue e ingiustificate violenze. Eppure non se ne va. Se mi devono ammazzare, che avvenga tra la mia gente con la quale ho condiviso tutta la vita, annota nelle sue carte.
Sarà così. È sulla via del ritorno verso la missione di Quiriguà, quella sera del 1 luglio 1981, quando cade vittima di un’imboscata. Con lui c’è anche un giovane catechista, Luis Obdulio Arroyo che poche ore prima dell’agguato si è offerto di fargli da autista, non sapendo che è oramai iniziato il conto alla rovescia. Per tutti e due. Di lì a poco, infatti, sulla strada impolverata che porta a Las Ruinas de Quiriguà verranno raggiunti da una violenta scarica di fuoco che li condurrà ben presto alla morte.
Sono gli occhi sbarrati di un ragazzino usato come esca ad assistere alla ferocia di quel duplice assassinio consumato nel cuore della notte, mentre l’oscurità copre al contempo con un’unica, fitta coltre l’empio gesto dei carnefici e l’eroica, quanto inutile gara di generosità di quei due martiri, intenti a difendersi l’un l’altro. Coraggiosamente, fino all’ultimo.