Fr. Vittorio Faccin, saveriano

“L’Africa ha bisogno d’essere amata. Il popolo qui sta cercando una cosa che fa fatica a trovare e soprattutto a comprendere: l’amore. Credo che non conoscano il verbo ‘amare’ o il sostantivo ‘amore’. Qui conoscono molto bene la giustizia: occhio per occhio, dente per dente. Il nostro lavoro è impostato in modo tale da far conoscere l’amore e nel saper perdonare: questo è il comandamento di Gesù”fr. Vittorio Faccin

Villaverla 7 gennaio 1934
Congo – Zaire – 28 novembre 1964

È grande, quasi incontenibile, la gioia di fr. Vittorio Faccin quando scrive ai suoi, a Villaverla, dalla missione congolese di Baraka: Miei cari genitori, non potete immaginare quale sia la gioia del mio cuore nel trovarmi qui, per poter dare qualche cosa di mio a coloro che non sanno quale sia il dono che il Signore ha fatto a noi nel farci cristiani.

Per l’anagrafe ha solo 25 anni questo giovane frate saveriano, approdato nel cuore dell’Africa con un grande sogno nel cuore: vivere fra quella gente per annunciare Cristo.

Questo è ciò che farà per 5 anni. Con coraggio ed entusiasmo. Perché lui, fr. Vittorio, che pure non ha alle spalle nutriti studi teologici (non avendo avuto la possibilità, suo malgrado, di diventare sacerdote) la conosce bene quella pagina del Vangelo che proclama le Beatitudini. Al punto che, all’indomani della sua scarcerazione, nel febbraio del 1961, non esita a scrivere ai suoi: nel cuore avevo una grande gioia, perché mi sentivo di far parte (ultimo dell’ultima fila) dei confessori della fede.

Fedele sino in fondo alla sua scelta di essere missionario saveriano, ‘totalmente e irrevocabilmente di Dio per la missione’, secondo l’esempio e la volontà del Fondatore, Mons. G.M. Conforti, sperimenta in terra africana ogni sorta di prove: la fatica di una quotidianità costellata da dure privazioni fisiche, la difficoltà di inserirsi in un contesto culturale estremamente diversificato (quasi 400 tribù), l’ostilità dei militari nei confronti dei missionari. Persino il carcere non gli rimane estraneo.

Gli ostacoli non mancano, tuttavia in modo umile, incondizionato e gioioso continua a spendersi in tutto ciò che fa: sia che si tratti di annunciare il Vangelo e di dedicarsi alla formazione dei giovani, sia che gli si chieda di salire su di un trattore e di trasportare pietre, sassi e mattoni per costruire a Kiringye una casa per le suore.

L’Africa ha bisogno di essere amata… deve essere amata non perché ha molto oro o altre ricchezze: l’ha ben capito fr. Vittorio quanto sia importante, in quel Paese, testimoniare Cristo coi fatti prima che a parole. Ne va della credibilità del cristianesimo in una terra dove è ancora vivo il ricordo delle brutalità commesse da chi, secoli addietro, ha fatto del Congo un campo da caccia per razziare schiavi da inviare nelle piantagioni del Brasile.

Quella gente è stanca di iniqui tributi di vite umane, checché ne sia la causa. Ha sete di pace, oltre che di giustizia: Qui conoscono molto bene la giustizia: occhio per occhio, dente per dente. Il nostro lavoro è impostato in modo tale da far conoscere l’amore e nel saper perdonare. Parole profetiche, presaghe di un destino con cui fr. Vittorio dovrà confrontarsi per un’ultima, decisiva volta, la mattina del 28 novembre 1964, allorché la sua giovane vita viene stroncata dalla ferocia di un guerrigliero assetato di vendetta.

Ha solo 30 anni quando il suo cuore, attraversato da un’intima nostalgia del sacerdozio, assapora la gioia di un’intuizione avuta in passato: Nella preghiera, Gesù mi ha fatto comprendere come sia meglio che io venga sacrificato a Lui piuttosto che Lui si immoli nelle mie mani.

ALLEGATI:

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pdf Gli scritti di p. Faccin 121 KB
pdf Testimonianze di p. Faccin 88 KB