P. Giuseppe Schiavo, stigmatino

“P. Giuseppe ha seguito l’esempio di Gesù; nell’ultimo tratto della sua vita ha bruciato la tappa finale con la via del martirio. La Chiesa è stata ancora una volta colpita e ferita. L’ultima delle beatitudini di Matteo, la più faticosa e la più dolorosa, si è abbattuta sul nostro missionario
Giuseppe Schiavo, servitore fedele della Chiesa in terra di missione, per quasi trent’anni. L’Eucaristia che celebro per lui non ha il tono di un doloroso suffragio quanto la voce di un ‘Alleluia!’ che s’innalza a dismisuradalla terra fino al cielo”
Mons. P. Nonis

Costo di Arzignano 11 maggio 1944
Tanzania 27 aprile 1996

“… Dinanzi a questa bara è giusto piangere perché anche Gesù pianse di fronte alla tomba di Lazzaro”: con queste parole l’allora Vescovo di Vicenza, mons. Pietro Nonis, si rivolge a quanti, familiari e amici, si sono riuniti a Costo di Arzignano per porgere il loro ultimo, sofferto saluto a padre Giuseppe Schiavo.

Dopo molti anni di missione in terra africana, p. Giuseppe torna al suo paese natio. Con un visto tutto speciale. Quello di martire.

A parlare di lui, uomo schivo di parole, è la sua stessa vita. Donata a Dio, con coraggio e generosità, sin dalla giovinezza. Da Lui sostenuta nelle ore decisive delle scelte: quella di farsi frate, nella congregazione religiosa degli stigmatini. Quella, successiva, di partire per annunciare Cristo altrove, in terre lontane dove il Suo nome è ancora poco conosciuto.

Per 25 anni p. Giuseppe percorre le strade della Costa d’Avorio, fedele a quello stesso mandato che Gesù aveva affidato ai Dodici nelle contrade della Palestina: ‘Andate, predicate, guarite’.

Tutto ciò che egli ha fatto, nella missione di Kisanga, è nato dal suo cuore e dalla sua fede. Genuina, solida. Capace di guardare avanti, nonostante le lacune, i ritardi, le incomprensioni.

Tra le molteplici iniziative di cui si fa promotore e sostenitore nei villaggi e nei centri da lui visitati, p. Giuseppe è particolarmente attento alla costruzione delle cappelle. Certo, le chiese di mattoni sono necessarie. Ma c’è un’altra Chiesa che gli preme edificare, nelle coscienze e nei cuori di quella gente.

Per questo si prodiga a dar vita ad un Centro Catechistico, finalizzato alla formazione dei catechisti e dei volontari. ‘Egli stesso passava di villaggio in villaggio, per avvisare ed invitare i catechisti’: così assicurano quanti lo hanno conosciuto e amato in Costa d’Avorio.

Non diversamente farà in Tanzania, in quella terra di missione dove i suoi superiori lo avevano inviato a rendere vera e coraggiosa la presenza della Chiesa tra la gente. Con l’esempio, anzitutto, prima che a parole.

È questo lo stile con cui p. Giuseppe conduce la sua vita e va incontro alla sua morte. In silenzio. Fedele ai suoi impegni. Piccoli o grandi, indistintamente.

Come quella sera, quando, al pari di molte altre, toccava proprio a lui andare a spegnere il generatore che illuminava la missione durante le ore notturne. Nonostante la stanchezza, p. Giuseppe esce ugualmente. Per l’ultima volta. Ad aspettarlo, al suo rientro, ci sono dei balordi che di lì a poco gli sparano alla testa, forse presi da timore nel vederlo rincasare prima del previsto.

È la notte del 27 aprile 1996. P. Giuseppe non lo sa, ma per lui è giunta l’ora di far sue, all’età di 52 anni, quelle parole del Credo che tante volte aveva snocciolato ai suoi catechisti: Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà. Amen.

ALLEGATI:

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