“Non è per niente facile, anche se Giorgio era mio fratello, parlare di lui, perché si tratta di parlare di un grande, di uno che la vita l’ha vissuta in pienezza di ideali, con la massima coerenza e fedeltà al Vangelo” Daniele Cavedon, fratello di Piergiorgio
Marano Vicentino 1944
Angola 2 gennaio 1981
L’avventura missionaria in terra angolana di Piergiorgio Cavedon, giovane padre cappuccino nativo di Marano Vicentino, si conclude con una morte tragica: ha soli 37 anni infatti quando, la mattina del 2 gennaio 1981, la sua Renault 4, a bordo della quale viaggiava assieme a Tony, un giovane meticcio amico della missione, scompare fra gli alberi della boscaglia. Per non uscirne più.
Il suo corpo, straziato da due ferite da armi da fuoco e dalla rabbia di qualche forsennato, viene trovato di lì a poco da una colonna militare. La stessa a seguito della quale p. Piergiorgio aveva deciso di viaggiare per spostarsi in modo più sicuro dalla sua missione di Kimbele, nel nord-est del Paese, a Luanda, là dove avrebbe preso l’aereo per tornare in Italia a curarsi.
Nonostante la sua giovane età, infatti, e la sua urgenza interiore di annunciare instancabilmente il Vangelo in parole e opere, p. Piergiorgio deve fare i conti con la salute. Per un po’ tiene duro: non si risparmia nessuna delle fatiche note ad ogni missionario in terra africana, ma alla fine cede. Un’intensa quanto improvvisa colica renale lo convince, poco prima della sua morte, a rientrare nel suo Paese per sottoporsi a delle cure mediche. Temporaneamente, beninteso.
Perché da fare ce n’è, in una terra martoriata dalla fame, dalle ingiustizie, dagli scontri sanguinosi che mietono vittime da ambo le parti, il Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Angola (M.P.L.A.) da un verso e la polizia per la difesa dello Stato (P.I.D.E.) dall’altro.
In modo mite, ma deciso, p. Piergiorgio si sente chiamato ad annunciare e a vivere il Vangelo. Fino in fondo. Senza sconti. E quando la ferocia e la barbarie dei suoi aguzzini lo mettono a tacere una volta per tutte, sarà il suo corpo, denudato e straziato, a parlare.
Per ammonire che solo la pace e la riconciliazione ricostruiranno un mondo nuovo.
Per testimoniare che di Dio ci si può fidare. Sempre. Senza riserve. Anche quando le Sue parole sembrano ostiche: Non abbiate paura di coloro che uccidono il corpo, ma non hanno il potere di uccidere l’anima (Mt 10,28).
Lui, p. Piergiorgio, l’ha fatto. Si è fidato. E mentre il suo corpo viene dilaniato dalla ferocia di una o più mani assassine, il suo volto riverbera la pace interiore di chi si affida a Dio e alle Sue promesse.