“Nella Chiesa ci sono tante vocazioni. La mia è quella di partire, di annunziare Cristo altrove dove non è ancora conosciuto, dove la Chiesa è ancora agli inizi o non esiste, di testimoniare tra quelle popolazioni l’amore di Cristo, vivendo con loro, condividendo gioie e sofferenze. Riparto con un atteggiamento di spirito diverso da quello di ventuno anni fa: allora avevo l’entusiasmo della giovinezza, ora invece è per fedeltà alla vocazione missionaria che ho chiestodi riprendere il cammino”
p. Ottorino Maule
Gambellara 7 aprile 1942
Burundi 30 settembre 1995
“Beati i costruttori di pace”: così si legge a Buyengero, in Burundi, sulla tomba di padre Ottorino Maule, martire saveriano ucciso assieme ad altri due italiani (p. Aldo Marchiol e Catina Gubert, volontaria laica), la sera del 30 settembre 1995 nella missione di Buyengero.
Ha soli 53 anni p. Ottorino quando un colpo di pistola, sparatogli a freddo da un soldato, lo raggiunge alla testa, strappandolo in modo brusco alla sua gente, alla sua missione.
Lo sapeva bene p. Ottorino cosa rischiava in quel Paese, così lontano dalla sua terra d’origine (Gambellara) e dai suoi affetti.
Neppure le parole di un caro amico (Attento, in Burundi vai diventare martire) erano riuscite a dissuaderlo dal ritornare, all’età di 49 anni, in quella terra, insanguinata da un’infinita guerra civile.
Certo, questa seconda volta, nel 1991, ci tornava con uno spirito diverso da quello con cui, ventottenne, era stato destinato al Burundi, uno dei Paesi più poveri del mondo, nel cuore dell’Africa. Per fedeltà alla sua vocazione missionaria, p. Ottorino sceglie infatti di restare con quei fratelli ai quali si sentiva inviato. Costi quel che costi. Fosse anche la vita.
Non se la sente proprio di abbandonare la gente del Burundi al suo destino. Non lo aveva fatto neppure poco dopo il suo primo arrivo a Rumeza, nel 1972, quando, nel corso della terribile lotta tra Tutsi e Hutu, vennero uccise più di 200.000 persone e altrettante fuggirono nel vicino Zaire.
Testimone scomodo di continue ingiustizie, perpetrate a danno dei più indifesi, non tace davanti all’ingiustizia, all’odio, al sangue.
Nulla lo scuote, lo intimidisce, lo scoraggia. Solo per obbedienza ai suoi superiori, nell’aprile del 1979 lascia la missione e rientra in Italia, per occuparsi della formazione dei futuri giovani missionari. È già in patria da due mesi quando viene espulso dal Burundi: il suo nome, infatti, è tra quello dei 70 missionari cacciati dal dittatore Bagaza.
Dovrà aspettare ben 12 anni (sett. 1991) prima di far ritorno in Burundi, a Buyengero, dove di lì a qualche anno (sett. 1995) incontrerà il martirio per mano di un soldato, uno dei tanti contro cui più volte si era levata, profetica, la sua voce di denuncia: Volete la pacificazione? Togliete i militari! Se ci sono stati dei morti è stato solo e sempre per opera dei militari.
Ora la sua salma riposa, accanto a quella di padre Marchiol e di Catina, davanti alla chiesa di Buyengero, la sua chiesa. “Abbiamo deciso di restare con voi”, aveva detto un giorno. È stato di parola.