P. Luigi E. Pegoraro, francescano

“Se Dio non fa un miracolo, impossibile evitare la catastrofe!… Se voi, cara mamma, sopravvivrete al mio sacrificio, esultate di gioia per tanta grazia fatta a me ed anche a voi…” p. Luigi Epifanio Pegoraro

Montecchio Maggiore 14 aprile 1898
Cina dicembre 1935

È breve, ma intensa l’esistenza di p. Luigi Epifanio, il missionario francescano martirizzato in Cina a soli 37 anni. Un forte desiderio di consacrarsi al Signore lo aveva spinto ad entrare – benché giovanissimo – nel convento dei francescani di Chiampo, dove a lungo si preparerà per diventare religioso.

È sacerdote solo da un anno quando il 25 dicembre 1923 parte per la Cina con il desiderio di far risuonare in quelle terre lontane l’annuncio di un Dio che si fa bambino.

Quanto sia difficile e dura la vita da quelle parti, lo tocca subito con mano. Ma non perde certo l’allegria, né tanto meno il coraggio. Chiede e ottiene, così, di lasciare il suo incarico di professore e rettore del seminario di Pacien per raggiungere i 130 lebbrosi che vivono sull’altopiano di Mosimiem, a 2000 mt di altitudine.

Le sue giornate sono lunghe, ma gioiose: prega, insegna musica e canto, predica, confessa, fa catechismo.

Tutto sembra procedere serenamente, ma non è così. All’orizzonte si addensano le prime nubi, nella Cina di quegli anni, percorsa dalla propaganda rivoluzionaria di Mao-Tse-Tung.

Gli scontri tra le truppe regolari ed i nuclei dell’Armata Rossa che imperversano nelle zone decentrate si fanno ogni giorno sempre più cruenti. È una continua carneficina umana, ma la colonna comandata da Mao procede inesorabile nella sua ‘Lunga Marcia’ verso il nord.

Il 29 maggio del 1934 i soldati comunisti raggiungono l’altopiano di Mosimiem. Se Dio non fa un miracolo, impossibile evitare la catastrofe!, scrive quel giorno p. Pegoraro, prospettando una fine tanto imminente quanto rovinosa.

Non si sbagliava: l’indomani l’Armata Rossa irrompe nel lebbrosario, gridando e sparando. Dopo aver assistito alla devastazione della missione, i religiosi vengono condotti al cospetto di Mao che presto decide della loro sorte: a tutti giunge perentorio l’ordine di abbandonare il lebbrosario. L’unico a salvarsi è p. Placido cui viene concesso di restare: data la sua età infatti sarebbe più un peso che altro, rallentando la marcia dell’intera colonna.

Sono le mani di questo anziano missionario a ricevere il biglietto con cui p. Epifanio si congeda per sempre dalla sua cara mamma: se non riceverete altre notizie, sappiatemi felice di offrire il mio sacrificio al Signore… Ho sempre desiderato morire martire.

Sarà il resoconto di un testimone oculare, a distanza di anni, a decretare la fine di ogni speranza: p. Epifanio è già morto, da tempo oramai. Si viene a sapere, così, che dopo essere stato decapitato – assieme ad un confratello spagnolo – nel dicembre del 1935, è stato con questi seppellito in una fossa poco distante dal luogo del martirio, nella località di Lioulokeou (zona di Fupien).

È lì che i due francescani riposano, in attesa della risurrezione.

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