“Vi ringrazio vivamente per la cura, le preghiere e le sollecitudini che avete usato verso di me, indegno missionario. Senza un miracolo è impossibile che io possa essere rilasciato; sono guardato a vista da 14 predoni, giorno e notte. Sono contento di morire per i cinesi e per la loro salvezza. Vissi in Cina per i cinesi ed ora sono contentodi morire per loro”p. Pasquale A. Melotto Maule
Lonigo 16 febbraio 1864
Cina 4 settembre 1923
Ammonta ad un milione di dollari il riscatto che alcuni briganti cinesi chiedono in cambio del rilascio di padre Pasquale Angelico Melotto, il missionario francescano catturato nella missione di Teganfu.
Ha 59 anni ed è in Cina da 22 questo padre vicentino – nativo di Lonigo – quando cade nelle mani dei suoi aguzzini. Durante la sua lunga prigionia subirà ogni sorta di percosse e di maltrattamenti, fino a quando una pallottola avvelenata lo raggiungerà mortalmente al ventre nel corso di uno spostamento. Saranno le truppe regolari cinesi il giorno successivo – 3 novembre del 1923 – a rinvenire il suo corpo ancora agonizzante. Di lì a poco, dopo un calvario di oltre due mesi, p. Pasquale si congeda dalla vita. Senza rimpianti, beninteso. Come confida a p. Zou, pochi giorni prima del suo martirio, allorché confessandosi se ne esce con queste parole: Sono contento di morire per i cinesi e per la loro salvezza. Vissi in Cina per i cinesi ed ora sono contento di morire per loro.
Questo è p. Pasquale. Questa è stata la sua morte e così va letta la sua vita: un’esistenza, la sua, continuamente sorretta da quella forza, segreta e testarda, che consente all’umanità di sopravvivere e di sperare ancora. Ovunque e nonostante tutto. Anche nella Cina del primo ‘900, martoriata dalla feroce rivolta della setta nazionalista dei boxer e abbrutita dalle violenze perpetrate contro i missionari e i cinesi convertiti al cristianesimo.
Incessante scorre in quegli anni il sangue di molti innocenti, vittime indifese di un odio cieco e insensato. Come quello che si abbatte sui due distretti di Suizou e Teganfu, dove opera p. Melotto, all’indomani della caduta della dinastia tartara dei Quing.
La situazione è critica, ma p. Pasquale liberamente sceglie di non andarsene. Per far sue le aspirazioni di quella gente che anela ad una vita dignitosa e ad una convivenza pacifica. Per denunciare e combattere le violazioni dei diritti umani. Per ricordare che è compito di tutti costruire un futuro migliore, più umano ancor prima che cristiano.
Voglio essere missionario anche dopo la mia morte, aveva risposto un giorno a chi gli rimproverava, con aria contrariata, quell’amore sincero e incondizionato che lui sapeva donare a tutti, nemici inclusi.
Alla fine ci è riuscito: l’ha vinta veramente la sua sfida, in vita prima, da martire della fede, poi. La sua vicenda umana infatti è ancor oggi di esempio a molti: non solo a quanti l’hanno conosciuto e amato, ma anche a quelli che si sono imbattuti successivamente nel racconto di ciò che lui è stato e ha fatto.
A tutti, indistintamente, il ricordo di questo ‘campione del Vangelo’ continua a suggerire che è davvero possibile sognare e prefigurare un’alba nuova.