Negli Atti degli Apostoli.
“Sinodo” e “sinodalità” sono due parole che derivano dal greco; sono composte dalla preposizione syn, che significa “insieme”, “con”; e dal sostantivo odòs, “strada”, “via”. Sinodalità è l’attitudine, la capacità, l’arte di camminare insieme. Gli Atti degli apostoli non sono un libro di teologia, non contengono una riflessione sulla sinodalità; piuttosto, raccontano le vicende delle prime comunità cristiane, mostrandoci “come” i primi credenti camminavano insieme: fatiche, gioie, rallentamenti, accelerazioni… Vorrei qui riprendere tre di questi racconti, quelli che mi sembrano più significativi.
La capacità di delegare
Il primo è abbastanza noto. Siamo ancora agli inizi, quando la comunità di Gerusalemme aveva il “problema” che cresceva troppo velocemente e gli apostoli non riuscivano a starci dietro ai bisogni di tutti; capita allora che quelli di lingua greca si lamentino, perché nell’assistenza quotidiana venivano trascurate le loro vedove (cfr. At 6,1-7). Pietro si guarda in torno e dice: noi apostoli siamo pochi, da soli non ce la facciamo. Scegliamo dunque alcune persone che ci aiutino nel nostro compito! Nasce così il gruppo dei Sette, che si affianca a quello dei Dodici (gli apostoli, appunto). Ho scelto questo brano perché ci mostra con semplicità una caratteristica molto importante, se si vuole camminare insieme: chi guida non può intestardirsi a fare tutto da solo, a portare sulle sue spalle tutto il peso. Nell’arte delicata del camminare insieme è importante che chi guida sia capace di delegare.
Riconoscere e mettere in luce il valore degli altri
Spostiamoci ora un po’ più avanti nel tempo e più a nord nella geografia. Dopo la lapidazione di Stefano scoppia una terribile persecuzione e tutti, ad eccezione degli apostoli, sono costretti a lasciare Gerusalemme. Alcuni di questi profughi si spingono lungo la costa fino ad arrivare ad Antiochia di Siria (oggi nel sud della Turchia). È la terza metropoli dell’impero romano, dopo Roma e Alessandria d’Egitto; nel libro degli Atti ha un ruolo strategico, perché diventerà la base dei viaggi missionari di Paolo. Eppure, all’origine ha un’anomalia: alcuni di coloro che erano stati costretti a lasciare Gerusalemme si mettono ad annunciare Gesù Signore non solo agli ebrei, ma anche ai pagani. Nasce così la prima comunità “mista”; la più grande, come detto poco fa.
Finora c’era stato qualche timido tentativo di aprire l’annuncio del Vangelo anche ai pagani, cioè ai non ebrei; ma si trattava di poche persone. Qui capita qualcosa su larga scala, tanto che da Gerusalemme mandano Barnaba a controllare (cfr. At 11,19-26). Barnaba: un campione di sinodalità! Quando giunge ad Antiochia, infatti, per prima cosa non cambia nulla: riconosce la grazia di Dio che è all’opera, se ne rallegra ed esorta tutti a rimanere fedeli al Signore.
Barnaba è un grande perché si fa piccolo: riconosce il bene compiuto dagli altri e ne gioisce; attitudine a tutt’oggi abbastanza rara… E poi, come Pietro a Gerusalemme, si accorge di non essere capace da solo di condurre una tale comunità e va a cercare Paolo. Lo porta ad Antiochia e insieme iniziano il loro ministero; più tardi lo porterà con sé anche nel primo grande viaggio missionario. Questo è Barnaba: una persona capace di riconoscere il valore degli altri e di metterlo in luce con gioia. Direi che è un secondo elemento importante, per riuscire a camminare insieme.
Rispettare le diversità
Un terzo aspetto lo prenderei da Giacomo, il fratello del Signore; era uno dei parenti di Gesù, che durante la sua vita pubblica non avevano avuto grande feeling con il Maestro, ma dopo la risurrezione hanno contribuito a formare la comunità di Gerusalemme.
Siamo al capitolo 15, la svolta narrativa del libro; qui capita qualcosa di grandioso, su cui non smettere di meditare (cfr. At 15,5-35). Ad Antiochia c’è un problema, perché alcuni vorrebbero che tutti quei pagani che diventano cristiani si facessero circoncidere e osservassero ogni singolo comando della Legge e della Tradizione di Israele. Paolo e Barnaba vi si oppongono decisamente. Non riuscendo a risolvere la questione, cosa fanno? Chiedono aiuto a Gerusalemme, mandando una delegazione con rappresentanti dell’una e dell’altra parte. Già questo da solo è un passo enorme di sinodalità: chiedere aiuto ad una comunità più “esperta”.
A Gerusalemme si riunisce tutta la Chiesa (apostoli, anziani, comunità) e anzitutto vengono ascoltate entrambe le parti. Fin dall’inizio del brano è chiaro chi dei due schieramenti ha ragione, ma anche i pochi che vorrebbero imporre l’osservanza ai pagani non vengono zittiti: a tutti viene data la parola. E questo è un secondo passo di non poco rilievo, volendo camminare insieme.
Ad un certo punto interviene Giacomo e di passi ne fa due: prima si mette in ascolto della Parola di Dio (il profeta Amos), perché noi non siamo autoreferenziali. E poi prende una decisione tattica: la Parola di Dio ci dice che non è necessario imporre l’osservanza anche ai pagani, ma noi vi chiediamo comunque di rispettare quattro cose semplici, a cui gli ebrei praticanti sono particolarmente sensibili; chiediamo a tutti di non mangiare la carne usata per i sacrifici agli dei, di non celebrare matrimoni proibiti dalla Legge di Mosè, di non mangiare carne con il sangue e di non mangiare o bere il sangue stesso.
Per camminare insieme non è sufficiente ribadire il principio, dire che cosa è giusto. È importante aspettarsi, fare il passo che ora tutti sono in grado di fare. Un giorno anche queste quattro clausole cadranno, ma in quel momento toglierle avrebbe significato spaccare la comunità. Come dicevo all’inizio, il libro degli Atti non offre una riflessione, ma racconta di persone che sanno delegare, che si stimano, chiedono aiuto, rispettano le differenze, si mettono in ascolto della Parola di Dio e si aspettano, per fare tutti lo stesso passo. È così che si cammina insieme.
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