L’Unione africana (Ua) e un’unità della Temasek Holdings, una società di investimento globale con sede a Singapore, stanno valutando la possibilità di sostenere la creazione nel continente di ben 123 nuove città, all’interno delle quali costruire 123 milioni di case, creando 123 milioni di posti di lavoro. [L’Osservatore Romano]
Il progetto, denominato Africa123, promosso dall’omonimo gruppo privato con sede a Città del Capo, in Sud Africa, prevede abitazioni e condizioni di vita consone alle necessità dei milioni di africani che si stanno riversando nei centri urbani. Questo sull’onda di un’espansione demografica legata, almeno in parte, all’emergenza climatica causata dal global warming che penalizza fortemente la macroregione subsahariana.
Sebbene la popolazione africana sia in gran parte rurale (meno della metà della sua popolazione vive nelle città, vale a dire il 43 per cento del totale), le proiezioni indicano che il continente raddoppierà la sua popolazione da qui al 2050, passando dagli attuali 1,4 miliardi di persone a circa 2,5 (circa un quarto della popolazione mondiale), per poi raggiungere i 3 miliardi nel 2063. Come si legge sul sito ufficiale di Africa123: «La creazione di città rigenerative Smarter-Urban in tutta l’Africa aiuterà ad arginare il flusso verso i centri urbani sovraffollati che sono attualmente in sofferenza e in previsione della crescente urbanizzazione continentale». Ed è proprio a partire da queste considerazioni che l’ambizioso progetto intende trasformare ciò che oggi appare problematico «in opportunità di crescita attraverso un approccio di sviluppo rigenerativo Smarter e l’accesso alle tecnologie digitali in grado di fornire connettività ai migliori sistemi di conoscenza locali e globali per supportare una crescita e uno sviluppo equilibrati».
Il piano prevede la costruzione delle 123 città nei prossimi due decenni a un costo stimato di 150 miliardi di dollari Usa (202 miliardi di dollari di Singapore). L’obiettivo è quello di soddisfare un deficit abitativo a livello continentale che sta acuendo a dismisura la ghettizzazione dei ceti meno abbienti. La Banca mondiale (Bm) prevede che entro il 2063, nella sola Africa subsahariana, 216 milioni di persone saranno confinate nelle baraccopoli. L’ African Cities Research Consortium, un programma di ricerca del Foreign Office del Regno Unito, ritiene che circa il 60 per cento della popolazione urbana presente oggi nell’Africa subsahariana sia confinata in insediamenti informali, aree sempre più vulnerabili agli impatti del cambiamento climatico. Secondo la stessa fonte, «sono particolarmente esposti a una maggiore esposizione ai rischi climatici, pur avendo una minore capacità di adattamento». La metropoli nigeriana di Lagos, con i suoi circa 16 milioni di residenti e un tasso di crescita demografica stimata attorno al 2 per cento, aumenta di circa 320.000 abitanti l’anno. La capitale della Repubblica Democratica del Congo, Kinshasa, attualmente, più o meno alla pari con Lagos, nel 2035 ospiterà 25 milioni di persone. Altre città, seppure con numeri più limitati non se la passano molto meglio: Dakar in Senegal aumenta di oltre centomila unità all’anno e cifre analoghe riguardano Abidjan (Costa d’Avorio) e Accra (Ghana).
Eppure, il quadro non sarebbe completo senza prendere in considerazione le città di dimensioni più contenute. Infatti, oltre il 90 per cento dei centri urbani in Africa ha meno di 100.000 abitanti. Uno su tre dei residenti urbani del continente — circa 185 milioni in tutto — vive lì. È proprio a questo livello periferico che l’urbanizzazione sta prendendo forma, strada dopo strada, penetrando nelle aree rurali e assorbendo le comunità circostanti. Uno studio pubblicato sulla piattaforma online Africapolis, spiega molto bene che i piccoli agglomerati costituiscono il collegamento più importante tra aree rurali e urbane. Questi piccoli centri offrono alle popolazioni rurali l’opportunità di vendere i propri prodotti ai mercati, di accedere ai servizi sanitari e pubblici e di cercare lavoro.
Il piano Africa123 intende razionalizzare questi processi di urbanizzazione attraverso progetti in grado di includere forniture energetiche e idriche sostenibili, nonché infrastrutture per i trasporti, l’istruzione e la sanità e opportunità di lavoro. L’Agenzia per lo sviluppo dell’Unione africana (Auda) è in trattativa per sviluppare un progetto pilota con Africa123 che prevede la fornitura di mutui per la casa attraverso accordi con i finanziatori. L’intento, in linea di principio, è quello di garantire, all’interno delle nuove città africane, tutti quei servizi necessari alle famiglie perché possano vivere dignitosamente. «Prevediamo che entro il 2063 ci saranno tre miliardi di persone nel continente e 150 milioni di famiglie che avranno bisogno di un alloggio dignitoso», ha dichiarato Gita Goven, presidente di Africa123.
Tutto questo, naturalmente, sarà possibile solo e unicamente attraverso finanziamenti in grado di soddisfare la domanda. Ed è proprio su questo versante che è scesa in campo la Temasek di proprietà del governo di Singapore che dispone di un portafoglio di circa 300 miliardi di dollari Usa. Attraverso Smec Holdings, una società di consulenza infrastrutturale della Surbana Jurong di sua proprietà, ha manifestato interesse nei confronti di Africa123. John Anderson, direttore operativo della divisione Africa di Smec Holdings ha dichiarato pubblicamente che stanno pervenendo al suo ufficio domande di finanziamento e che il concetto di «città sostenibili», così com’è stato formulato da Africa123, è molto apprezzato dalla sua società di consulenza infrastrutturale.
Se da una parte è sempre più evidente che il fenomeno dell’urbanesimo deve essere governato in modo perspicace dalle autorità statuali africane, dall’altra occorre guardare sempre alle città come piattaforme per la democrazia, il dialogo culturale e la diversità, luoghi adattivi e resilienti rispetto ai cambiamenti climatici, attrattivi e trainanti della crescita economica, caratterizzati da accessibilità ai servizi e sostenibilità dei sistemi per la mobilità delle persone, delle merci e dei dati. Questo scenario generale non può dunque prescindere da una governance centrale, che svolga attività di coordinamento e raccordo tra politiche, risorse e soggetti. È perciò indispensabile un coinvolgimento, oltre che dei governi locali, degli attori internazionali e delle istituzioni multilaterali affinché le scelte deliberative rispondano alle reali necessità della società civile. Ben vengano dunque investimenti dai privati e dai governi stranieri, a condizione che questi processi non si riducano a operazioni speculative.
L’Africa è stata sottoposta in questi anni allo stress pandemico, agli effetti collaterali della crisi russo-ucraina, soprattutto sul piano economico, per non parlare della “spada di Damocle” del debito che pesa enormemente sul destino di intere popolazioni. L’abitare in modo dignitoso — è bene rammentarlo — costituisce un modo per ridisegnare la riabilitazione fisica e sociale delle piccole e grandi città africane, nella certezza che l’Africa, a differenza dell’Europa, non è in balia de “l’inverno demografico” che segna comunque una crisi di civiltà.
[Sabato 17 giugno 2023 – Giulio Albanese – L’Osservatore Romano]