Richard Jewell

Regia: Clint Eastwood
USA, 2019 – 129 min

Il film mette al centro il tema dell’informazione, di come i media rappresentino la “verità”, di come si possa strumentalizzare il racconto della realtà distorcendolo. È un film d’ingiustizia che grida rabbia e lo fa con la calma del cinema di Eastwood.

Nella storia vera il film non legge tanto la parabola di un eroe ma quella di una vittima di media e stato, la cui vita semplice è sballottata dall’essersi ritrovato eroe senza volerlo.

Compirà 94 anni il 31 maggio 2024 Clint Eastwood, ma vanta a oggi una vis poetico-narrativa ancora fulgida e ben agganciata alla realtà. Nel corso della sua lunga carriera ha alternato ruoli davanti e dietro la macchina da presa, affermandosi come interprete acuto e vigoroso nonché come autore dallo sguardo raffinato. Tra i 40 titoli come regista, si ricordano principalmente racconti tratteggiati con forte realismo: “Un mondo perfetto” (1993), “I ponti di Madison County” (1995), “Mystic River” (2003), “Million Dollar Baby” (2004), “Gran Torino” (2008) e “Sully” (2016). Esce ora al cinema “Richard Jewell”, ispirato a una drammatica storia vera che prende le mosse da un articolo pubblicato sulla rivista “Vanity Fair” a firma di Marie Brenner, “American Nightmare. The Ballad of Richard Jewell”. Eastwood e lo sceneggiatore Billy Ray (già nominato all’Oscar per il copione di “Captain Phillips”) raccontano la storia di un uomo qualunque vittima di un errore giudiziario-mediatico. La storia: ad Atalanta, durante lo svolgimento dei Giochi olimpici del 1996, Richard Jewell (Paul Walter Hauser) è un trentenne che lavora nel servizio di sicurezza di eventi pubblici nella città. La sera del 27 luglio 1996, al Centennial Olympic Park, durante un concerto, Richard scopre uno zaino abbandonato sotto una panchina; preoccupato, si attiva per allarmare i colleghi e la polizia, invitando a una rapida evacuazione. Dopo un momento di scetticismo iniziale e persino di derisione, alla fine Richard la spunta e ottiene lo sgombero del luogo. Purtroppo la bomba esplode, uccidendo una persona e ferendone oltre un centinaio. Grazie all’intervento di Richard, però, si è evitata la carneficina. Subito i media si accorgono della sua prodezza: Richard finisce, con non poco imbarazzo, sotto i riflettori, incoronato come eroe nazionale. Un attimo dopo, però, tutto vira nella direzione opposta; mossi dall’urgenza di individuare un colpevole, FBI e media mettono sul banco degli imputati proprio Richard, con l’accusa di essere un attentatore. Il giovane si ritrova dunque solo, perseguitato, difeso unicamente dalla madre Bobi (Kathy Bates) e dall’avvocato disilluso Watson Bryant (Sam Rockwell). Con “Richard Jewell” Clint Eastwood ci regala un altro magistrale racconto di impegno civile, uno sguardo sulla periferia americana che si distingue per tenacia e valore nonostante le crescenti difficoltà. In linea con gli altri ritratti di eroi del quotidiano firmati da Eastwood, dal veterano Walt Kowalski al pilota Chesley Sullenberger, il film “Richard Jewell” è espressione di quelle piccole storie esemplari in un’America che si scopre sempre più incerta e sotto pressione. È un film duro e vibrante, denso di indignazione per le inaccettabili le falle nel sistema della giustizia o per la spregiudicatezza dei media. Un racconto intenso, grintoso, capace anche di sposare la dimensione della poesia. A ben vedere, in questo Eastwood è superlativo, perché riesce con eleganza a unire quasi sempre sguardo realistico a sfumature di sentimento. Seppure non sia tutto perfetto, il film possiede un chiaro valore sociale ed educativo e dal punto di vista pastorale è da considerare consigliabile, problematico e per dibattiti.

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