L’attuale sensibilità per il destino dell’Amazzonia viene da molto lontano. Viene dalla lotta pluridecennale di migliaia e migliaia dei suoi abitanti (indigeni, meticci e bianchi) e di operatori sociali (nazionali e internazionali) che nella quotidianità del loro vivere hanno operato per una “ecologia integrale”, cioè per tutelare parimenti la biodiversità naturale e la biodiversità umana culturale dai disastri provocati da un modello di sviluppo selvaggio, non sostenibile e dannoso, sia a livello locale che globale. In silenzio e con grande sacrificio, la lotta è stata portata avanti da organizzazioni indigene, dirette da maestri bilingui molto preparati. Da università, sindacati rurali, cooperative e Ong, sostenute da enti internazionali. Da realtà ecclesiali e da comunità di base. E anche da singoli personaggi, che spesso sono stati lasciati soli, talora incompresi dagli stessi confratelli e consorelle. Personaggi eccezionali che, contro le ingiustizie e i soprusi di latifondisti (“fazendeiros”) e di multinazionali, anche a prezzo della loro vita, hanno continuato a difendere sia gli ecosistemi naturali sia le persone che vi abitano (coloro che campano della terra e dei frutti della foresta, e i popoli indigeni che hanno culture e lingue proprie), convinti che non ci può essere giustizia ambientale se non c’è giustizia sociale. E di lotte contro la violenza del più forte sul debole, è piena la storia dell’Amazzonia che conta moltissimi eroi-simbolo tra i suoi figli. Molti martiri. Qualche santo. Tra i molti, ne ricordiamo tre: un sindacalista brasiliano, una suora statunitense e un sacerdote vicentino di Schio. Con un invito ad approfondirne la storia e a portarne avanti i messaggi.
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