L’impegno di tanti che non vediamo: “I care”

L’impegno di tanti che non vediamo: “I care”, l’Italia della fiducia

di Paolo Lambruschi

«I care», mi interesso, mi preoccupo, mi prendo cura. Non è uno slogan o un banale anglicismo. È invece la bellissima frase che accomuna don Lorenzo Milani, Martin Luther King e i circa 4,5 milioni di volontari che ogni giorno in Italia si prendono cura gratuitamente del prossimo, dell’ambiente, dei beni culturali. Un filo rosso che unisce il soccorso alla protezione civile, i volontari della Caritas attivi in mille settori del sociale a quelli ambientali e ai volontari dei musei. E l’accoglienza delle vittime innocenti del conflitto di Gaza.

I Care è un pilastro italiano, parte dell’identità nazionale. Sabato scorso lo ha ricordato il Capo dello Stato a Trento, celebrando la designazione della città a capitale europea del volontariato, attività molto più diffusa di quanto sappiamo ogni giorno raccontare sui media. È la foresta che cresce senza fare rumore, ma se ne sentissimo parlare di più, cambierebbe almeno un po’ di quel sentimento depressivo che mescola paura e sfìducia e che da tempo va per la maggiore in Italia. Perché i volontari insegnano che prendersi cura rende anche felici e fa ritrovare senso alla vita.

Cambiare la narrazione significa guardare più da vicino, approfondire, leggere con occhiali diversi i fatti. Fa riflettere in questo senso l’arrivo in Italia di quella che si spera sia l’avanguardia dei bimbi palestinesi e delle loro famiglie portati a curarsi nei migliori ospedali pediatrici del Belpaese. Ricordiamo che li hanno accolti in accordo con il governo le stesse organizzazioni laiche, cattoliche e protestanti che dal 2015 attraverso i corridoi umanitari, cioè per vie legali e sicure, hanno portato in salvo circa 4.000 rifugiati e profughi vulnerabili.

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