L’abbraccio di Francesco

in “La Stampa” del 19 maggio 2024  – di Domenico Agasso

Nell’antico anfiteatro scaligero, di fronte al Papa, l’israeliano Maoz Inon, a cui Hamas ha ammazzato i genitori il 7 ottobre, e il palestinese Aziz Sarah, che ha perso il fratello nell’inferno della guerra, si scambiano tra loro un abbraccio. Struggente. Poi li stringe a sé Francesco. E l’Arena si alza in piedi per una standing ovation da brividi. Applausi. Lacrime. È l’apice emotivo e spirituale della giornata veronese del Pontefice, che definisce lo straordinario gesto dei due amici un «progetto di futuro».

Bergoglio è sul palco dell’evento «Arena di Pace – Giustizia e Pace si baceranno», condotto da Amadeus. A fianco del Papa il vescovo di Verona monsignor Domenico Pompili. E il comboniano padre Alex Zanotelli, simbolo di associazioni e movimenti pacifisti che sostengono gli appelli per fermare le armi in tutto il mondo. Senza se e senza ma. Si susseguono messaggi di fraternità, richiami alla cooperazione per la riconciliazione planetaria. Tra gli altri ci sono don Luigi Ciotti, fondatore e presidente di Libera; Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di San’Egidio; Carlo Petrini, fondatore di Slow Food; don Mattia Ferrari, impegnato per i migranti; l’attivista Luca Casarini; monsignor Christian Carlassare, vescovo di Rumbek (Sud Sudan); Sergio Paronetto di Pax Christi. Si riflette su migrazioni, democrazia, clima. Si predica il disarmo globale.

Davanti al Vescovo di Roma si esibiscono vari artisti, tra cui Ligabue.

Inon e Sarah dicono al microfono: «Il nostro dolore, la nostra sofferenza ci hanno avvicinati, ci hanno portati a dialogare per creare un futuro migliore. Noi siamo imprenditori e crediamo che la pace sia l’impresa più grande da realizzare. Siamo qui con Roberto Romano che condivide le nostre idee». Ma non ci può essere «pace senza un’economia di pace. Un’economia che non uccide, che non produce guerra, un’economia invece basata sulla giustizia». E si chiedono: «I giovani come possono essere imprenditori di pace quando i luoghi di formazione spesso sono influenzati da paradigmi tecnocratici e dalla cultura del profitto a ogni costo?». Si prendono la mano e le sollevano, tra lo sventolio di bandiere della pace e fazzoletti bianchi.

Francesco si alza e appoggia la testa sul petto dei due amici. Commozione, esultanza. Sorrisi. Poi il suo viso si fa cupo. Scandisce: «Credo che davanti alla sofferenza di questi due fratelli, che è la sofferenza di due popoli, non si può dire nulla…». Sottolinea che «loro hanno avuto il coraggio di abbracciarsi. E questo non è solo coraggio e testimonianza di volere la pace, ma anche è un progetto di futuro. Abbracciarci». Entrambi hanno perso i familiari, «la famiglia si è rotta per questa guerra. A che serve la guerra? – è il grido del Pontefice – Per favore, facciamo un piccolo momento di silenzio, perché non si può parlare troppo di questo, ma “sentire”». E guardando «l’abbraccio di questi due, ognuno dal proprio cuore preghi il Signore per la pace, e prenda una decisione interiore di fare qualcosa perché finiscano le guerre. In silenzio…».

Le 12.500 persone dell’Arena chinano il capo. Attimi di meditazione. Il Pontefice pensa «ai bambini in questa guerra, in tante guerre… Quale futuro avranno?». Gli vengono in mente i bimbi ucraini che arrivano «a Roma: non sanno sorridere. I bambini nella guerra perdono il sorriso». E poi, «i vecchi che hanno lavorato tutta la vita per portare avanti questi due Paesi, e adesso…». Il Papa parla di «una sconfitta storica e una sconfitta di tutti noi». Perciò esorta a «pregare per la pace, e diciamo a questi due fratelli che portino questo desiderio nostro e la volontà di lavorare per la pace al loro popolo. Grazie fratelli!».

Per Bergoglio «la pace si fa con i piedi, le mani e gli occhi dei popoli coinvolti, insieme tutti». Francesco avverte che «la pace non sarà mai frutto della diffidenza, dei muri, delle armi puntate gli uni contro gli altri». Affida un mandato: «Seminare speranza! Ognuno cerchi il modo di farlo, sempre. Non scoraggiatevi. Non diventate spettatori della guerra cosiddetta “inevitabile”». E cita «il vescovo Tonino Bello: “In piedi tutti, costruttori di pace!”. Tutti insieme». E la gente dell’Arena si alza.

Il Vescovo di Roma tocca il tema leadership, che deve essere collaborativa, altrimenti è autoritarismo: un leader «non può fare tutto da solo, deve favorire la partecipazione». Denuncia l’individualismo, «radice delle dittature».

Mentre il sole scalda la Città di Romeo e Giulietta, il Papa visita la casa circondariale di Montorio, dove pranza con i detenuti. A loro dice: «Dio perdona tutto e sempre. Vi sono vicino»; e rinnova la richiesta, «specialmente a quanti possono agire in questo ambito», di «continuare a lavorare per il miglioramento della vita carceraria». Ricorda i suicidi avvenuti recentemente, e incoraggia a «non cedere allo sconforto. La vita è sempre degna di essere vissuta, e c’è sempre speranza per il futuro, anche quando tutto sembra spegnersi».

In mattinata nella basilica di San Zeno ha incontrato il clero: «Per favore, perdonate tutto. E quando la gente viene a confessarsi, non andare lì a inquisire. Non torturare i penitenti». Sul sagrato invita i bambini a essere «segno di pace, insieme».

«Francesco! Francesco!» urlano festanti i 32mila fedeli allo Stadio Bentegodi. Nella Messa conclusiva Francesco osserva che «tutti abbiamo bisogno di armonia». Il contrario? «È la guerra, è lottare uno contro l’altro».

L’ultimo bagno di folla accompagna il Papa all’elicottero con cui torna in Vaticano.

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