Il ventre della zona 7

di Alex Maroso

Citta del Guatemala

È ormai passato qualche settimana dal nostro arrivo, e se non siamo ancora riusciti a scoprire le speranze e i sogni di questi bambini, stiamo a mano a mano imparando a conoscerli meglio, a distinguere i loro volti e chiamarli per nome. Sto avendo l’onore e il previlegio di assistere al meraviglioso lavoro della señora Jeannette, una persona estremamente creativa, ricca di pazienza e di buon cuore. Il suo desiderio, come ci ha confidato, è dimostrare di essere una buona e bella persona. C’è riuscita fin da subito. Infatti, con passione e ingegno riesce ogni giorno a regalare ai bambini una giornata ricca di sorprese, giochi e amore, lontana dalle preoccupazione che ritrovano una volta rientrati a casa. Le inquietudini di alcuni di loro sono immense.

In particolare, quelle di Neftali e Raichel, due fratelli di 6 e 4 anni, mi hanno toccato nel profondo. Neftali in classe non interviene nè disturba e se finisce la lana per cucire un leone non ancora completato non ne chiede altro. Raichel invece arriva a scuola già con le sopracciglie aggrottate, pensierosa, con la testa da un’altra parte. È molto intuitiva e sta facendo l’inserimento nella classe dei più grandi. Quando escondo da scuola, entrano nel loro laminato nei pressi della discarica. Tra la puzza, le strade sporche, servizi igienici scadenti, si compiono anche violenze verso di loro.

Anche Sofia, come Neftali, ha 6 anni e abita nella zona 7 della capitale. Il primo giorno, dopo essere stato chiamato quattro volte “Mama” nel giro di due minuti, ho risposto stizzito “Me llamo Alessandro”. Poi le maestre mi hanno raccontato il suo passato. È nata prematura a 5 mesi ed è rimasta chiusa in una stanza fino a 4 anni prima di rntrare nel CECPO. La sua difficoltà iniziale a parlare non è scomparsa grazie al recente intervento alla lingua, con cui è riuscita ad ampliare il suo vocabolario di altre quattro parole. Niente in confronto a quello che i suoi cari speravano. In classe ha sempre bisogno di attenzioni, quasi con la stessa frequenza con la quale chiede approvazione alla señora Jeannette, a cui risponde sempre con “Sì, mi amor”.

In conclusione, passeggiando tra le strade, ho visto dei bambini lavorare nel mercato, e mi sono subito immaginato le facce di quelli che ho conosciuto in questi giorni tra 3 o 4 anni. Mi chiedo cosa possono trarre dal contesto in cui abitano, cosa hanno ancora da perdere e se riusciranno mai a recuperare dai traumi subiti.

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