Il Kyrie di Branduardi

Kyrie eleison è un’espressione greca che si trova più volte già nei vangeli, rivolta a Gesù dai due ciechi (Mt 9,27), da una donna cananea (Mt 15,22), da un indemoniato (Mt 17,15) e dai dieci lebbrosi (Lc 17,13). Successivamente è passata a esprimere un’invocazione liturgica «Signore, abbi pietà!» attestata già dal IV sec. nella chiesa di Gerusalemme e successivamente nella liturgia latina.
«Abbi pietà» con il verbo greco eléēo che traduce l’ebraico rhm(misericordia), significa avere cura dei miseri, essere compassionevole. Ed è proprio questo sentimento che è espresso dal Kyrie della Missa Luba, composta negli anni ‘50 dal padre francescano Guido Haazen in Congo, con testo in latino, ma su ritmi e modalità della cultura musicale zairese.
Angelo Branduardi lo prende come base per la sua canzone omonima. La forte ritmica che accompagna la semplice armonia, così come il canto del coro fanciullesco sembrano sottolineare una compassione che si spinge verso la gioia, la danza, il sapore della vita. Ma il testo – scritto da Luisa Zappa, moglie del cantautore e da tempo collaboratrice per i testi delle canzoni – sembra contraddittorio rispetto al sentimento espresso dalla musica: «Perché lungo è il cammino / quando avanza la sera / Ed un lume non basta / per portarmi la luce / Tutto il pane non basta / per saziare la fame / Tutta l’acqua non basta / per calmare la sete / E l’amore non basta / per lenire il dolore». In questo cammino dell’uomo in questo periodo di fragilità frastornante la luce fioca di un lume non è sufficiente a portare luce; sembra che gli sforzi siano inutili. L’uomo, come l’astuto Sisifo, è condannato a spingere sempre da capo il suo macigno. Branduardi giunge a cantare che anche l’amore, sentimento d’infinito non è sufficiente a «lenire il dolore».
Il brano innesca così una tensione forte, aspra, decisa: la musica che porta con sé il sapore del pane della misericordia, della riconciliazione si scontra con il canto, quasi cantilenato dal cantautore, che non cede alla speranza di amore che possa recuperare un mondo trafitto da pandemie, ingiustizie, ineguaglianze. Angelo Branduardi così svela il cuore dell’uomo, dove si svolge quella lotta tra speranza e disperazione, tra carità ed egoismo, tra amore e odio. Il finale del brano, tuttavia – in quell’appianarsi della musica che si risolve in un tappeto di archi e in un accordo maggiore – sembra suggerire una tregua, uno spazio sacro dove l’esistenza coglie il proprio anelito più profondo, forse prima di riprendere il proprio cammino.

Ascolta audio https://www.youtube.com/watch?v=db3FaMftEv4&feature=youtu.be&ct=t%28EMAIL_CAMPAIGN_ANP_27%29

A cura di Claudio Zonta sj in “Abitare nella possibilità”

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