Che cos’è la pastorale?

James Campbell S.I | LA CIVILÀ CATTOLICA 4131- 4132 | 6 ago/3set 2022

Benché oggi la parola «pastorale» sia di uso comune in tutta la Chiesa, non ne esistono definizioni e c’è molta confusione riguardo al suo uso e alla sua interpretazione. È da rilevare che, sebbene la parola sia stata adottata dalla Chiesa in un contesto amministrativo giuridico, la sua etimologia rinvia alla pastorizia e fa sì che conservi ancora il contenuto descrittivo più generale di qualità come misericordia, perdono e altri termini simili, sia nella Chiesa sia nel mondo, cosa che papa Francesco ha voluto sottolineare1.

In questo articolo cercheremo di individuare il significato della parola «pastorale» secondo l’uso che ne è stato fatto dagli ultimi pontefici: Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. Prenderemo in considerazione i vari modi in cui essi hanno adoperato il termine, facendo riferimento, in particolare, alle loro allocuzioni alla Rota Romana.

Giovanni XXIII: «pastorale» come rinnovamento e apertura al mondo

Nel discorso di apertura del Vaticano II, Giovanni XXIII espresse il desiderio che il Concilio riformasse la Chiesa, affinché essa fosse in grado di rispondere ai bisogni spirituali del mondo e per il bene delle anime2. Il Papa indisse il Concilio con l’obiettivo di un «aggiornamento» della Chiesa cattolica, che avrebbe comportato grandi miglioramenti nella sua prassi3.

Pertanto, queste intenzioni di Giovanni XXIII esplicitano la sua visione del carattere «pastorale» di quell’assemblea ecclesiale. Il Papa desiderava che essa raggiungesse una più profonda penetrazione del Vangelo e del mistero della Chiesa, al fine di «adottare quella forma di esposizione che più corrispondesse al magistero, la cui indole è prevalentemente pastorale»4.

Paolo VI: «pastorale» come stile di presentazione della dottrina

Dopo la morte di Giovanni XXIII e l’elezione di Paolo VI, quest’ultimo, nel discorso di apertura al Concilio riunito nell’ottobre 19635, ribadì i punti enunciati dal suo predecessore in Gaudet Mater Ecclesia e vi aggiunse le proprie preoccupazioni, che riguardavano il tema del rinnovamento della Chiesa cattolica, il «carattere pastorale» del Concilio – termine che Giovanni XXIII aveva usato esplicitamente – e la necessità del dialogo6.

Durante il suo pontificato (1963-78) e dopo la conclusione del Concilio nel 1965, Paolo VI, a partire dal suo discorso alla Rota del 1966, usò il termine «pastorale» 60 volte in quel genere di discorsi. In una allocuzione del 1973, vi fece riferimento ben 26 volte, e così fece capire l’importanza che questo termine aveva per lui.

Dopo una breve introduzione, l’allocuzione del 1973 tratta della «natura pastorale del diritto della Chiesa»7, e così il termine «pastorale» diventa l’oggetto stesso del discorso. Il Papa lo introduce affermando che «il diritto canonico così appare non solamente come norma di vita e regola pastorale, ma altresì come scuola di giustizia, di discrezione e di carità operante». Dichiara che il diritto «riflette ancor più quella aequitas canonica che è frutto della vostra carità pastorale e costituisce una delle sue più delicate espressioni». In seguito il termine «pastorale» ricorre in un sottotitolo: «Natura pastorale del diritto nella Chiesa». Il primo paragrafo di quella sezione contiene l’affermazione che «il diritto canonico è per la sua natura pastorale».

Inoltre, lo stile o approccio caratteristico «pastorale» suggerisce di non accentuare «il rigore del diritto, la rigidità della sua espressione tecnica», perché al giudice viene chiesto di evitarli e di preferire piuttosto l’equità e la carità. Con questa carità egli dovrà anche evitare «che la lettera [della legge] uccida». E, per ispirare questo stile di servizio, viene indicato un riferimento allo Spirito Santo. Sembra che il Papa voglia qui sconsigliare ai giudici l’applicazione rigoristica della legge. Infatti, se è vero che le esigenze della giustizia «impongono talvolta al giudice il dovere di applicare la legge più severamente», d’altra parte «ordinariamente [lo] portano ad esercitare il diritto in maniera più umana, più comprensiva». Paolo VI quindi sostiene che la legge debba essere applicata con severità, ma che questo debba avvenire in casi straordinari e che comunque ci si debba lasciare guidare dalla compassione. Pertanto, si potrebbe dire che l’approccio «pastorale» si identifichi con l’applicazione della legge secondo un certo «stile».

Nell’allocuzione papale del 1973 non si fa cenno a deviazioni o a deroghe riguardo all’approccio giuridico: ci si riferisce soltanto a come debba essere applicata la legge. Va anche osservato che, se da una parte si dà risalto alla carità e all’equità, dall’altra vengono sottolineati anche l’autorità, la dottrina e il diritto.

Giovanni Paolo II: «pastorale» come minaccia alla dottrina

Per quanto riguarda le allocuzioni di Giovanni Paolo II alla Rota Romana, c’è da tener presente che egli aveva ereditato dal suo predecessore il compito di attuare le decisioni del Concilio e quello della revisione finale del nuovo Codice di diritto canonico. Questo fu promulgato nel 1983, e fu da lui definito «l’ultimo importante documento del Concilio»8.

Tuttavia, dopo il Concilio e il completamento della revisione del Codice, vi fu nella Chiesa un interregno in cui il diritto entrò in crisi ed emerse una forma di antinomismo che voleva sostituire il legalismo del Codice esistente9. Di conseguenza vennero proposte e attuate soluzioni «pastorali» ai problemi canonici. Ciò fece da sfondo alle allocuzioni papali, nelle quali il termine «pastorale» veniva adoperato e commentato dal Papa nel contesto di un dibattito sulla continuità e il cambiamento10.

Nel suo discorso alla Rota Romana del 1990, Giovanni Paolo II si preoccupa «della dimensione pastorale del diritto canonico e, in altri termini, dei rapporti fra pastorale e diritto nella Chiesa»11. È interessante notare come il Papa qui non faccia alcun riferimento alla Costituzione pastorale del Concilio Gaudium et spes, ma solo alla Costituzione dogmatica Lumen gentium.

Giovanni Paolo II rivolge uno sguardo critico a «una distorsione» che condiziona la visione della «pastoralità» del diritto canonico e della dottrina su cui essa si fonda: «attribuire portata ed intenti pastorali unicamente a quegli aspetti di moderazione e di umanità che sono immediatamente collegabili con l’aequitas canonica». Il Papa sottolinea che il fatto di concentrarsi soltanto sulle eccezioni alla legge, sull’eventuale non ricorso ai processi e alle sanzioni canoniche e sullo snellimento delle formalità giuridiche costituisce un travisamento della «rilevanza pastorale», perché così si dimentica proprio ciò che è «pastorale», ossia che «le norme generali, i processi, le sanzioni e le altre manifestazioni tipiche della giuridicità […] sono […] realtà intrinsecamente pastorali».

Giovanni Paolo II ritiene che gli aspetti «pastorali», dottrinali e giuridici del diritto canonico siano stati disgiunti, e che ciò sia deplorevole. Dichiara infatti che «vanno tenute presenti ed applicate le tante manifestazioni di quella flessibilità che, proprio per ragioni pastorali, ha sempre contraddistinto il diritto canonico. Ma vanno altresì rispettate le esigenze della giustizia, che da quella flessibilità possono venir superate, ma mai negate». Il Papa afferma anche che «la vera giustizia nella Chiesa, animata dalla carità e temperata dall’equità, merita sempre l’attributo qualificativo di pastorale», e che «non può esserci un esercizio di autentica carità pastorale che non tenga conto anzitutto della giustizia pastorale».

Giovanni Paolo II poi introduce una nuova espressione ibrida riguardo alle norme sul matrimonio: esse «possiedono una loro rilevanza giuridico-pastorale». In questo modo collega ancora una volta la dimensione «pastorale» a quella giuridica del diritto canonico.

Da questo discorso possiamo dedurre che Giovanni Paolo II pensava che il termine «pastorale» avesse assunto un significato che a suo giudizio non doveva avere, cioè che venisse usato come se fosse equivalente alla dottrina, e che in certe circostanze potesse addirittura scavalcarla. Il Papa si opponeva con forza a tale tendenza, perché, a suo avviso, la «pastorale» rappresentava una minaccia per la dottrina e per il diritto, e soprattutto perché si era arrivati a percepirla come dotata di un proprio contenuto teologico strategico.

 Benedetto XVI: «pastorale» come ermeneutica

Nel discorso alla Rota Romana del 2012, Benedetto XVI usa due volte il termine «pastorale», in modo da suggerirne una nuova interpretazione. Egli afferma che «sono state proposte delle vie ermeneutiche che consentono un approccio più consono con le basi teologiche e gli intenti anche pastorali della norma canonica»12. Il Papa ne parla a causa delle recenti «correnti di pensiero [che] hanno messo in guardia contro l’eccessivo attaccamento alle leggi della Chiesa, a cominciare dai Codici, giudicandolo, per l’appunto, una manifestazione di legalismo». Benedetto XVI riconosce i diversi modi in cui viene usato il termine «pastorale», ossia in modo ermeneutico e non solo in riferimento ai pastori, come egli stesso e il suo immediato predecessore avevano fatto. Non fa alcun riferimento al modo in cui Giovanni XXIII aveva concepito questo termine.

 Francesco e l’«urgenza pastorale»

Papa Francesco inizia il suo discorso alla Rota Romana del 2014 affermando che la dimensione giuridica e quella pastorale del ministero della Chiesa «non sono in contrapposizione»13.Nell’allocuzione alla Rota Romana del 2016 usa due volte il termine «pastorale». La prima volta per riferirsi all’«atteggiamento spirituale e pastorale» della Rota riguardo alla famiglia e al concetto di famiglia che la Chiesa ha sviluppato nel recente Sinodo su di essa. La seconda volta il Papa ricorre all’espressione «urgenza pastorale», che fa riferimento alle strutture della Chiesa coinvolte in un nuovo catecumenato per quanto riguarda la preparazione al matrimonio14. Nella prima occorrenza, il termine «pastorale» è legato anche alla misericordia, all’«amore misericordioso di Dio verso le famiglie» e, in particolare, verso «quelle ferite dal peccato e dalle prove della vita». Nella seconda occorrenza, il termine si riferisce alle strutture della Chiesa, chiamate a un impegno comune per quanto riguarda la preparazione al matrimonio. In entrambi i casi si rimanda al lavoro dei pastori e non al significato qualitativo del termine, che il Papa introduce con il riferimento alla «misericordia».

L’uso che Francesco fa del termine «pastorale» nelle sue allocuzioni alla Rota Romana esprime un’interpretazione che approfondisce quella di Giovanni XXIII e della Gaudium et spes, senza limitarsi a considerarlo uno dei doveri dei pastori.

 «Pastorale» senza significato fisso

Finora abbiamo visto che, a partire da Giovanni XIII e fino a oggi, il termine «pastorale» non è stato usato dai papi in modo univoco, ma come vocabolo polisemico, perché il suo significato spazia dal referenziale al descrittivo, dal qualitativo all’ermeneutico. In quanto tale, esso ormai fa parte del linguaggio dei dibattiti ecclesiali, e il suo significato non è fisso. Quindi, può essere usato come un termine qualitativo per parlare di misericordia, perdono, compassione e così via, ma anche per riferirsi ai doveri dei pastori. Per il professore di diritto Jeremy Waldron, è importante tale possibilità, perché indica che il termine «pastorale» ha un valore aggiunto, alla stregua di parole come «libertà» o «dignità»15.

 Si può dire che nel discorso ecclesiale il termine «pastorale» ha un valore funzionale più che un significato univoco. In questo caso, «pastorale» nel suo senso qualitativo compete con «pastorale» inteso come doveri dei pastori.

Questo termine ha anche una «funzione istituzionale», in quanto alla natura «pastorale» della Chiesa ci si è riferiti prima, durante e dopo il Concilio Vaticano II, e il suo significato è ancora in fase di elaborazione da parte della Chiesa.

Il termine «pastorale» inoltre ha una «funzione concettuale», perché racchiude in sé qualità e aspettative che la Chiesa intende promuovere. Ad esso «come concetto» possono ricorrere fruitori diversi, anche se non intendono necessariamente le stesse cose. Questo termine può facilitare un dialogo permanente con persone che desiderano dare un contributo alla Chiesa: ad esempio, facendo appello a soluzioni «pastorali» per soddisfare bisogni «pastorali»16.

Inoltre, nella Chiesa il termine «pastorale» nel suo senso qualitativo si presta a usi diversi. In primo luogo, può essere assunto «come una bandiera» sotto la quale gruppi o persone chiedono misericordia, perdono, compassione ecc., permettendo così di soddisfare i loro bisogni, specialmente quando la dottrina e la legge non vi riescono. In secondo luogo, viene usato «come concetto fondamentale» riguardo al modo in cui la Chiesa deve trattare con le persone e svolgere la sua missione, perché esprime ciò che di meglio c’è in essa. Infine, è il termine a cui si ricorre quando una determinata questione non viene risolta dalla dottrina e dal diritto in modo soddisfacente, e allora si propugna una «soluzione pastorale».

Il termine «pastorale» può essere inteso anche come «un veicolo per cercare di ottenere consenso», in caso di disaccordi. Quindi, esso può facilitare il dialogo, in quanto fa appello alla misericordia, alla compassione e al perdono, ossia a desideri e aspirazioni che dovrebbero far parte del nucleo stesso della missione della Chiesa e prevalere persino sulla dottrina e sul diritto. Il termine «pastorale» può anche non fornire una risposta, ma il richiamo a esso può creare le condizioni per cercare di trovarne una, o quantomeno per accogliere valori e diritti in conflitto – il senso qualitativo del termine e i doveri dei pastori, quando divergono tra loro –, e pertanto ha una «funzione integrativa».

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  1. Cfr O. Rush, «Toward a Comprehensive Interpretation of the Council and its Documents», inTheological Studies73 (2012) 547-569. A proposito dei termini «pastorale» e «dottrinale», l’autore afferma: «Il Concilio e i suoi documenti vanno interpretati alla luce dell’orientamento primariamente pastorale che esso si è dato. Il Vaticano II, nel riformulare la dottrina, mirava a insegnare con parole e azioni tese a favorire un’appropriazione spirituale più significativa della salvezza e della rivelazione di Dio da parte del popolo di Dio» (ivi, 553). In questo contesto, il termine «pastorale» costituisce una riformulazione della dottrina.
  2. Cfr G. Alberigo, «L’annuncio del concilio. Dalle sicurezze dell’arroccamento al fascino della ricerca», in A. Melloni (ed.),Storia del concilio Vaticano II, vol. 1, Bologna, il Mulino, 1995, 19-70.
  3. Cfr ivi.
  4. Giovanni XXIII, s.,Discorso nella solenne apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, 11 ottobre 1962 (discorso noto comeGaudet Mater Ecclesia); il corsivo è nostro.
  5. Cfr Paolo VI, s.,Solenne inizio della seconda sessione del Concilio Ecumenico Vaticano II, 29 settembre 1963.
  6. Cfr A. Melloni (ed.),Storia del concilio Vaticano II, vol. 3, Bologna, il Mulino, 2013.
  7. Paolo VI, s.,Discorso al Tribunale della Sacra Romana Rota per l’apertura del nuovo anno giudiziario, 8 febbraio 1973. Cfr M. Amen, «Canonical Equity Before the Code», inJurist 33 (1973) 1-25, dove l’autore discute il significato e il rilievo dellaaequitas canonica nella prospettiva storica.
  8. Giovanni Paolo II, s.,Messaggio in occasione del V Congresso internazionale di studio sul diritto canonico, 10 agosto 1984.
  9. Cfr C. Donahue Jr., «A Crisis of Law? Reflections on the Church and Law over the Centuries», inJurist65 (2005) 22.
  10. Cfr J. W. O’Malley,Che cosa è successo nel Vaticano II, Milano, Vita e Pensiero, 2010.
  11. Giovanni Paolo II, s.,Discorso agli officiali e avvocati del Tribunale della Rota Romana, 18 gennaio 1990.
  12. Benedetto XVI,Discorso in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale della Rota Romana, 21 gennaio 2012.
  13. Francesco,Discorso al Tribunale della Rota Romana per l’inaugurazione dell’anno giudiziario, 24 gennaio 2014.
  14. Cfr Id.,Discorso in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale della Rota Romana, 22 gennaio 2016.
  15. Cfr C. McCrudden (ed.),Understanding Human Dignity, Oxford, Oxford University Press, 2013, 13, nota 42.
  16. Cfr B. Schlink, «The Concept of Human Dignity: Current Usages, Future Discourses», in C. McCrudden (ed.),Understanding Human Dignity, cit., 635.

ALLEGATI:

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