Poveri, rifugiati e trans. Il pranzo di papa Leone (nel nome di Francesco)

in “Corriere della Sera” del 17 novembre 2025 – di Claudio Caprara

La messa in San Pietro — «esorto i capi degli Stati e i responsabili delle nazioni ad ascoltare il
grido dei più poveri» — e il pranzo con milletrecento «scartati». Leone XIV ha celebrato ieri il
Giubileo dei poveri, uno degli ultimi appuntamenti dell’Anno Santo, forse il più significativo: «Voi
sapete bene che la questione dei poveri riconduce all’essenziale della nostra fede, che per noi essi
sono la stessa carne di Cristo e non solo una categoria sociologica
».


Lasagne vegetali, cotoletta di pollo con verdure al forno, un babà per dolce. Tra i tavoli
apparecchiati nell’Aula Nervi ci sono senzatetto, italiani che si sono trovati a sessant’anni senza
lavoro, rifugiati e anche una cinquantina di trans di Torvajanica
, accompagnate dal parroco don
Andrea Conocchia e suor Geneviève Jeanningros, una comunità che Francesco aveva aiutato
durante la pandemia. Mentre la gente stava chiusa in casa per il Covid, il parroco si era visto
arrivare nella chiesa della Beata Vergine Immacolata un gruppo di transessuali latinoamericane
ridotte in miseria, si prostituivano sul litorale ma il Covid aveva fatto sparire tutti i clienti e non
avevano più di che vivere. Scrissero al Papa, furono aiutate dal cardinale Elemosiniere Konrad
Krajewski («E certo che le abbiamo aiutate, è il Vangelo»), due anni più tardi Bergoglio le ricevette
ed erano in lacrime, i rosari tra le dita, un’argentina gli portò delle empanadas. Nel frattempo,
racconta don Andrea al Corriere, le trans in parrocchia sono diventate centocinquanta, «arrivano da
tutto il litorale, ricevono un aiuto alimentare e la domenica vengono a messa, sono tutte
sudamericane e cresciute in famiglie cattoliche, per me sono come tutti gli altri parrocchiani».


Leone XIV ha fatto proprio tutto questo, ricordando il predecessore all’inizio del pranzo: «Con
grande gioia ci raduniamo in questo pomeriggio, nella Giornata che tanto ha voluto il nostro amato,
mio predecessore, papa Francesco. Un forte applauso per papa Francesco!».


Durante la Messa, la basilica era colma di seimila persone, almeno ventimila sono rimaste in piazza
a seguire dagli schermi e il Pontefice è uscito a salutarle prima della celebrazione. Nell’omelia,
papa Prevost è tornato a parlare della «globalizzazione dell’impotenza» che aveva nominato in
settembre, in un messaggio a Lampedusa, come una mutazione della «globalizzazione
dell’indifferenza» denunciata dal predecessore nel suo viaggio del 2013. Perché oggi «soprattutto
gli scenari di guerra, presenti purtroppo in diverse regioni nel mondo, sembrano confermarci in uno
stato di impotenza», osserva: «Ma la globalizzazione dell’impotenza nasce da una menzogna, dal
credere che questa storia è sempre andata così e non potrà cambiare. Il Vangelo, invece, ci dice che
proprio negli sconvolgimenti della storia il Signore viene a salvarci
».


Con San Paolo, il Papa fa notare che «nell’attesa del ritorno glorioso del Signore non dobbiamo
vivere una vita ripiegata su noi stessi e in un intimismo religioso che si traduce nel disimpegno nei
confronti degli altri e della storia». La povertà, ha concluso, interpella anzitutto i cristiani ma deve
interrogare tutti, a cominciare da chi avrebbe il potere di cambiare le cose: «Non ci potrà essere
pace senza giustizia».