Bucarest, Romania
di Paolo Salmaso
In questa esperienza di missione ho incontrato tanti volti. Molti sorridenti, grati dalla nostra presenza, gioiosi di vedere e conoscere degli estranei che di rumeno capivano ben poco.
Molti con una storia dura alle loro spalle che mascherano con sorriso, un abbraccio, un accoglimento dentro la propria dimora.
Molti anziani. Anziani aggrappati alla fede come fa l’edera attorno ad un albero. Anziani spesso tanto soli, ai quali bastano 10/15 minuti di presenza di un qualcuno (anche di estraneo come noi) per svoltare la propria giornata.
Anziani la cui salute viene sempre meno ma comunque in grado di donare quello che è in loro possesso, come ad esempio una preghiera per chi varcava la soglia di casa propria.
Anziani che si illuminavano alla nostra presenza e della suora nostra accompagnatrice.
Anziani che si commuovevano non tanto per la loro miseria ma quanto di gratitudine perché accogliendo l’altro riescono a scorgere Dio.
“Quando siete entrati nella mia casa, è come se Dio fosse venuto a farmi visita”. Questa frase mi ha scosso molto. E mi scuote ancora. Vibra dentro di me. E gli occhi di Gemika, l’anziana signora che ha pronunciato questa frase, sono anch’essi fissi nella mia mente. Grandi, veri e capaci di vedere Dio negli altri.
Questo vorrei portarmi a casa: la capacità di scorgere Dio nell’altro.
Molti ragazzi/e adolescenti e bambini/e. Spesso sia orfani sia con problemi psichici o relazionali. Orfani perché troppo spesso uno o entrambi i genitori sceglievano l’alcol e non i figli o perché troppo speciali per aver il coraggio per badare a loro. Persone che fin da subito ci hanno accolto abbracciandoci e stringendoci forte, come vorrebbero fare con i propri cari che troppo spesso non vogliono averci a che fare.
Anime speciali che necessitano solo gesti di affetto semplici come un batti cinque, un abbraccio o un sorriso per migliorare la propria giornata.
E con questa missione abbiamo dato loro dei giorni di spensieratezza, abbiamo dato loro un po’ di speranza, abbiamo dato loro la possibilità di creare con noi una relazione diretta e vera.
Molte donne, lavoratrici, mogli, rispettate o meno dal marito fagocitato dall’alcol, madri che accudiscono i propri figli, sorelle che badano alle proprie sorelle o madri. Donne molto forti, più resilienti a volte degli uomini, che lottano per dei propri ideali di fede e di libertà.
Tra queste, tutte le suore che ci hanno ospitato e accolto nella loro struttura, adattandosi ai nostri ritmi e noi ai loro. Tutte donne con una grande capacità di rapportarsi con l’altro abbracciandolo, coccolandolo e confortandolo come hanno fatto con noi: donne che, con la loro veste bianca addosso, brillano della luce di Dio.
Ho vissuto questa missione circondato dall’affetto e la cura di donne, comprese le mie 3 compagne di viaggio.
Non è stato facile la convivenza all’inizio perché essere l’unico rappresentante del genere maschile ti fa sentire un po’ solo.
Ma poi ho cercato di vedere ciò che ci accumunava e di notare le compatibilità che ci uniscono più che le grandi differenze (che poi così grandi non sono) che ci tendono a separare.
Che alla fine è quello che ho cercato di fare con le persone che ho incontrato in questa missione. Trattarle come miei pari, come miei fratelli e sorelle.
Con chi più, con chi meno, credo di aver lasciato loro qualcosa.
E non so spiegare come ma ho ricevuto indietro da loro tanto di più di quello da me dato. E di questo ne sarò sempre estremamente grato.
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