Perfect Days

Perfect Days

 

Alle volte può servire una vita intera e una carriera intera da grande regista internazionale d’autore per centrare il capolavoro, quello che unisce tutto il pubblico. L’ha fatto Wim Wenders con Perfect Days, forse è questo il film perfetto per questo periodo. A marzo saranno passati 4 anni da quando è stata dichiarata la pandemia ed è partito il lockdown, e, nonostante Perfect Days in nessun momento parli di questo, è una specie di strano balsamo. Sembra un film giapponese ma in realtà è animato da tutte le idee che Wim Wenders ha sviluppato nella sua carriera, eppure (incredibile) è buono anche per tutte quelle persone a cui il solo nome di Wenders fa venire un’irrefrenabile voglia di non comprare il biglietto del cinema. Con buona probabilità questo è il suo film più riuscito e quello dal pubblico più ampio di sempre. Non a caso il Giappone lo ha scelto come suo rappresentante per l’Oscar al miglior film straniero. Ed è uno dei favoriti alla vittoria finale.

Al centro della storia, dunque, c’è un uomo che per lavoro pulisce i bagni pubblici a Tokyo. E in un certo senso, per gli occidentali, proprio quei bagni pubblici sono la prima parte dello spettacolo. Perché questi giorni perfetti dell’uomo che pulisce i bagni sono in realtà una serie di giornate di eccezionale quiete, fatte di lavoro in pace, ritmi compassati, cortesie e poi al ritorno a casa la lettura di un libro e l’ascolto di un disco (su audiocassetta). Un intreccio c’è chiaramente, una storia di aiutanti che vengono e vanno, una nipote che arriva a trovare l’uomo e dei misteri riguardo il suo passato. Ma il punto sono queste giornate terse, quasi sempre di sole che trapela tra le fronde, passate a fare qualcosa che in teoria è poco attraente come la pulizia di un bagno ma in realtà magnifico, perché queste toilette che si trovano in mezzo ai parchi o ai margini delle strade sono immacolate, costruite con un occhio al design e alle volte molto tecnologiche (la migliore è quella tutta trasparente, le cui pareti di vetro però diventano riflettenti nel momento in cui si chiude la porta e tornano trasparenti quando poi la si riapre per uscire).

In due ore Perfect Days fa innamorare di questa vita apparentemente priva di tutto (il protagonista abita in una casa spoglia in cui esiste solo l’essenziale) ma in realtà scremata del superfluo, in cui a trionfare è l’ideale del bene comune. Ci saranno difficoltà, questioni da risolvere, personaggi negativi e tutto quello che solitamente avviene nei film, eppure ciò che rimane più impresso è questa cura di qualcosa che appartiene a tutti, rappresentata nella maniera che meno ci si aspetta, dalla pulizia dei bagni. Questo, già nelle intenzioni di Wenders, è il punto del film: provare a girare una storia che riavvicini tutti quelli che la guardano all’idea di bene pubblico, alla sua cura e all’immensa soddisfazione che esiste nell’unire la coltivazione dei consumi culturali (il protagonista fa foto su rullino oltre come detto a leggere e ascoltare musica), a una routine lavorativa semplice e ai rapporti occasionali con le persone che incontra o i ristoranti in cui mangia.

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