Il martirio non attrae la cultura contemporanea, specie quella occidentale. Per essa non sembrano più esistere valori universali, né amore a cui legare tutta l’esistenza, né un Dio a cui donare tutto se stessi.
Il martirio puzza di vecchio e stantio. I cosiddetti martiri della patria, quelli onorati dalla retorica nazionalista, spesso sanno di ridicolo perché risultano vite sprecate per ideali superati dall’evolversi della storia. Eppure molti di essi erano sinceramente e generosamente impegnati a migliorare le sorti del loro popolo.
La gente arriva a disprezzare il martirio quando questo nome è usato per celebrare terroristi che si fanno esplodere tra folle innocenti. Si finisce per considerarlo un epifenomeno del radicalismo religioso e nazionalista.
La domanda perentoria “Non vorrete creare dei martiri?”, che nel linguaggio comune viene posta al fine di scongiurare la diffusione di certi modelli di comportamento che sono fuori dalle norme o antisociali, in realtà nasconde un pregiudizio verso l’esperienza del martirio.
Noi cristiani dobbiamo riappropriarci della parola martirio e riscoprire i martiri della fede.
Il morire per Cristo è la testimonianza suprema della fede perché assimila il credente a Gesù stesso che muore innocente sulla croce. E come Cristo rinuncia a rispondere a Pilato per parlare, invece, con il dono della sua stessa vita, così il martire afferma la verità del dono fatto da Cristo col morire egli pure per Lui. L’accettare la morte per Cristo è la prova della fede nella sua resurrezione, una fede mossa dall’amore per Lui. Infatti, è il rapporto con Cristo che spiega il martirio cristiano; restare fedeli al Signore è l’unico motivo per accettare di morire per Lui, così come il Signore è stato fedele e ha sacrificato se stesso per noi.
I martiri sono stati nella maggior parte dei casi delle creature fragili, ma nella loro debolezza risplende l’onnipotenza di Dio che, attraverso la loro testimonianza, continuamente provoca l’umanità alla conversione e sostiene la vita della Chiesa. In questo sta la vittoria dei martiri: il loro sangue genera nuovi cristiani e rinnova la vita della Chiesa.
Questa forma di testimonianza suprema è una chiamata che il Signore potrebbe fare nell’esistenza di ciascuno di noi. In molti paesi, dove i cristiani sono perseguitati, questa è una prospettiva ben presente. Tuttavia, eventi recenti ci ricordano che perfino nella tranquilla e libera Europa non è da escludere la possibilità di essere chiamati a versare il proprio sangue e la propria vita per Cristo.
Sappiamo che San Guido M. Conforti ha riflettuto a lungo sul martirio. In un primo tempo lo ha addirittura presentato ai missionari come una meta gloriosa, per cui le prime generazioni di saveriani cantavano “laggiù, del martirio, la palma gloriosa noi sospiriam”. Poi, invece, la sua riflessione si è concentrata sul morire per Cristo giorno per giorno. Ed è questa la visione che trova espressione nella Lettera Testamento laddove equipara i voti religiosi a “una specie di martirio, a cui, se manca l’intensità dello spasimo, supplisce la continuità di tutta la vita” (LT 2). A ben vedere, le due visioni non si contrappongono. Da una parte, il dover affrontare la morte a causa della propria fede in Cristo è una eventualità prospettataci da Gesù stesso (cf. Gv 16, 1-4); e ci fa bene ricordare questa eventualità perché ci offre un criterio con cui mettere in questione la qualità della nostra fede. D’altra parte, se i martiri non sono andati in cerca della morte ma l’hanno subita, la loro vita è stata però una preparazione al momento in cui il Signore li avrebbe chiamati a lasciarsi sacrificare come “agnello sgozzato”. I martiri erano pronti come un’atleta che si è allenato per la gara finale.
Noi cristiani dobbiamo riscoprire i nostri martiri e presentarli al mondo con orgoglio. Essi infatti hanno donato la vita per un ideale che non muore: per Cristo e l’avvento del suo Regno. Sono questi i veri eroi.
E come famiglia saveriana abbiamo il privilegio di annoverare tra noi fratelli e sorelle che hanno dato testimonianza fino a morire per Gesù. Si tratta di sacerdoti, fratelli, sorelle saveriane e laici, in tutto una ventina di persone, che nella pur breve storia della famiglia saveriana carismatica hanno versato il loro sangue mentre servivano il Vangelo e la Chiesa in Asia, Africa e America Latina.
È importante mantenere viva tra noi la loro memoria, perché è motivo di gratitudine verso Dio che in essi ci conferma di essere presente tra noi (cf. Mt 10,19-20). Il loro ricordo – e alcuni li abbiamo conosciuti personalmente – ci rassicura che anche noi, con l’aiuto del Signore, possiamo essere fedeli fino in fondo. Ma mantenere viva la memoria non significa semplicemente ricordare. I martiri vivono in comunione con noi e partecipano alla nostra vita. Il loro sacrificio ha dato frutti che continuano fino ad oggi attraverso la loro comunione e la loro intercessione. I nostri martiri sono una risorsa a cui possiamo fare ricorso con sicurezza. Loro non hanno tradito
Bachino, missionario saveriano (01 ottobre 2021)
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