in “L’ Osservatore Romano ” del 22 febbraio 2025 – Paolo Affatato
Ridare speranza agli oppressi. Condonare il debito a quanti l’hanno contratto. Restituire libertà agli schiavi. È vissuto nel suo senso biblico più profondo e autentico il Giubileo in Pakistan, nazione segnata da un tragico fenomeno sociale ed economico che nell’Anno santo acquista nuova luce: la “schiavitù per debito” nelle cave di argilla e nelle fornaci per la produzione dei mattoni. E così per intere famiglie di disperati, costretti in uno stato di schiavitù legalizzata nelle campagne del Punjab pakistano, un luogo di sofferenza e di morte può diventare spazio di vita e di speranza.
Il Giubileo per la popolazione della località di Kot Radha Kishan, area di estrazione dell’argilla, è un tempo in cui si può iniziare una vita nuova. Nella fornace di mattoni a Kot Radha Kishan, il 4 novembre 2014, due coniugi cristiani, Shahzad Masih e Shama Bibi, genitori di quattro bambini e con lei incinta, vennero linciati e arsi vivi sulla base di false accuse di blasfemia. Ancora oggi in quel luogo famiglie cristiane sbarcano il lunario, in condizioni di emarginazione, riuscendo a sostentarsi a malapena e dedicando al lavoro anche diciotto ore al giorno. Così i frati cappuccini della vicina località di Bhai Pheru hanno voluto iniziare il Giubileo condividendo solidarietà e vicinanza con le famiglie poverissime dei lavoratori della fornace di mattoni nel villaggio Chak 59. «Lì dove i coniugi cristiani vennero uccisi, oggi fiorisce un germoglio di bene», ha detto il cappuccino e parroco padre Qaiser Feroz. I frati francescani e i volontari hanno distribuito pacchi alimentari e si sono fermati a incoraggiare e pregare con i lavoratori delle fornaci di mattoni, che hanno espresso grande gioia e gratitudine. Rivolgendosi a quanti vivono in stato semi-schiavitù, padre Feroz ha detto: «Cristo è la nostra e la vostra speranza: è sempre con voi, non siete mai soli in questa lotta della vita quotidiana».
Nell’anno giubilare in Pakistan le comunità cattoliche, in particolare in Punjab, hanno inserito tra le priorità pastorali l’aiuto alle famiglie intrappolate nella rete del “lavoro schiavo” (come lo ha definito Papa Francesco), diffuso nella nelle fabbriche di argilla che punteggiano la regione. Le famiglie impegnate comprendono spesso giovani, anziani, donne, bambini: tutti ingabbiati dalla pratica del peshgi, l’anticipo del salario che l’operaio riceve dal datore di lavoro per una sua necessità (per delle cure mediche speciali, a esempio) e che va a creare un debito. Quel debito si accumula e, a causa degli interessi, genera un sistema di dipendenza perenne, una forma di schiavitù moderna. Il Pakistan si trova al sesto posto nell’indice stilato da Global Slavery, organizzazione che ha censito nel paese 2,3 milioni di schiavi, l’1,13 per cento dell’intera popolazione pakistana.
Continua a leggere su OSSERVATOREROMANO.VA >>
Condividi sui social: