Di Laura Ziliotto.
Rio de Janeiro (Brasile).
Durante la nostra permanenza in Brasile abbiamo avuto modo di incontrare Corrado Dalmonego, Missionario italiano della Consolata e grande conoscitore del popolo indigeno degli Yanomami. Lasciamo che siano le sue parole a raccontarci quanto succede ad oggi in Amazzonia e le brutalità che questo popolo sta subendo.
La crisi umanitaria vissuta dalle comunità del popolo yanomami ha ricevuto, all’inizio del 2023, grande visibilità, in Brasile e all’estero. Tuttavia, non è una situazione che si è creata dall’oggi al domani e neppure durante gli ultimi mesi. Per anni, le violenze subite nel proprio territorio sono state denunciate dai leader indigeni, dalle loro associazioni e dalle organizzazioni che difendono i diritti dei popoli indigeni e la protezione dei territori, dinanzi a tutte le autorità dello Stato brasiliano e agli organismi internazionali (cf. Regno-att. 16,2020,460). Nel novero di queste accuse, possono essere citati anche i rapporti Cicatrici nella foresta del 2021 e Yanomami sotto attacco del 2022, pubblicati dalla Hutukara Associazione Yanomami e dall’Associazione Wanasseduume Ye’kwana (cf. Regno-att. 12,2022,389).
Gli organismi ecclesiali, come il Consiglio indigenista missionario (CIMI), la diocesi di Roraima, la CNBB e la Rete ecclesiale panamazzonica (REPAM), hanno a propria volta spesso stigmatizzato le attività di distruzione della casa comune e di soppressione dei suoi abitanti, conseguenza di un progetto di sviluppo che tratta l’Amazzonia come una frontiera di colonizzazione da cui estrarre, a qualunque costo, risorse destinate all’esportazione.
L’invasione della terra indigena yanomami (TIY) da parte di migliaia di garimpeiros, finanziati da imprenditori e sostenuti da politici coinvolti in attività illegali in associazione con gruppi criminali, ha determinato la devastazione ambientale, gravi danni alle comunità indigene e il collasso sanitario, portando il governo federale a dichiarare (il 20 gennaio) l’emergenza sanitaria.
Sono numerosi gli esiti dell’estrazione dell’oro (garimpo):
– il degrado ambientale: deforestazione, insabbiamento di fiumi, contaminazione d’acqua e suolo, perdita di flora e fauna;
– la disgregazione delle comunità indigene: morti dovute alla brutalità del garimpo, violenze sessuali contro ragazze e donne, sgretolamento sociale, istigazione e aggravamento di conflitti comunitari e intercomunitari attraverso la distribuzione di armi, droghe e bevande alcoliche;
– lo squilibrio dell’economia indigena d’autosussistenza: diminuzione delle risorse della selva e distruzione degli orti, scomparsa della caccia, contaminazione e morte di pesci e selvaggina, impiego nelle attività connesse al garimpo – in condizioni analoghe alla schiavitù – di persone indispensabili alla sussistenza delle famiglie indigene;
– l’aggravamento della situazione sanitaria: epidemie causate dalla presenza di estranei che veicolano patologie come malaria, malattie respiratorie, COVID-19 e tubercolosi, e dalla formazione di innumerevoli pozze d’acqua stagnante che favoriscono il propagarsi dei vettori della malaria e di altre patologie; abbandono degli ambulatori in terra indigena (Unità sanitarie indigene di base) e impossibilità di permanenza delle équipe sanitarie multidisciplinari, minacciate dalla presenza di garimpeiros e gruppi criminali, che suscitano conflitti e provocano il dirottamento dei medicinali destinati alla salute degli indigeni e la loro vendita abusiva a prezzo d’oro.
Alle conseguenze dell’estrazione mineraria illegale s’aggiungono gli effetti della mancanza d’assistenza sanitaria causata dalla cattiva gestione del Distretto sanitario yanomami (DSEI-Y) e dalla corruzione del personale già accertata da indagini della polizia. Tutto ciò ha determinato livelli disastrosi nella diffusione di patologie (malaria, malattie respiratorie e intestinali), che hanno seminato la morte tra le fasce più fragili della popolazione, cioè anziani e bambini.
I dati diffusi il 20 gennaio scorso dalla rivista Sumaúma mostrano che, negli ultimi 4 anni, il numero di de- cessi dei bambini sotto i 5 anni per cause prevedibili è aumentato del 29% nel territorio yanomami: 570 piccoli indigeni sono morti per malattie curabili. I casi di malaria sono decuplicati negli ultimi 10 anni, e oggi la situazione è completamente fuori controllo.
Tali dati sanitari, così allarmanti, sono probabilmente sottostimati. Analizzando la piramide della popolazione yanomami balza all’occhio come la fascia d’età da 0 a 4 anni presenti numeri inferiori a quella da 5 a 8 anni, con una contrazione della popolazione che contraddice l’aumento demografico degli ultimi decenni.
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