I nostri tanti perché

Nairobi – Kenya

Il primo giorno a Wamba l’ho concluso con diverse domande, ad alcune delle quali sono riuscita a rispondere nel corso delle prime due settimane di missione. Oggi, secondo giorno effettivo a Nairobi, mi trovo di nuovo a riflettere, ma stavolta la domanda è una sola: “Perché?”.

Perché ci sono bambini di 6-7-8 anni costretti a vivere per strada, implorando l’elemosina solo per poter mangiare qualcosa? Perché, a pochi passi da lussuosi grattacieli che rievocano i quartieri più opulenti di New York, si trova la SLAM più grande del Kenya, dove il lusso concesso ai suoi abitanti, includendo i bambini, si limita a una tazza di chai e a un sodoma al giorno, quando va bene?

Questa realtà è inaccettabile e non voglio abituarmi all’idea che “qui funziona così, è la normalità”. È vero che ad un certo punto si può relativizzare il concetto di giusto o sbagliato, di normale o anormale. Tuttavia, non posso e non possiamo ignorare la dignità delle persone, in particolare quella dei bambini. Se uno di questi è costretto a vivere sui marciapiedi, a rischiare di essere investito ogni volta che attraversa una strada e a subire violenze se si avvicina troppo a proprietà private, vivendo costantemente esposto alla tentazione della delinquenza perché non gli vengono offerte alternative più dignitose, allora è evidente che la situazione è inaccettabile; soprattutto quando c’è chi è perfettamente al corrente di quanto succede ma non fa assolutamente niente per cambiare le cose.

Dopo aver colto questo, che so essere un niente se confrontato all’effettiva realtà delle cose, mi sono interrogata su dove sia Dio in questi contesti, perché nonostante il mio sforzo, fatico a vederlo e, ancor di più, a sentirlo. Non riuscendo a trovare una risposta, ho esposto il mio punto di vista ai miei compagni e ad altri ragazzi di Torino che abbiamo incontrato nel pomeriggio, con i quali abbiamo condiviso le nostre esperienze di missione in Kenya. A questo punto, suor Valentina ha collegato la sua riflessione alla mia, affermando che, dopo essersi posta la stessa domanda, ha compreso che era errato il modo di porla. Infatti, Dio non si materializza, ma agisce attraverso di noi, attraverso le nostre mani, le nostre parole, i nostri gesti.

Questa prospettiva, a cui non avevo mai pensato, ha completamente stravolto il mio modo di vedere le cose, e da un’immagine buia osservata al mattino nella SLAM di Kibera, ho iniziato a scorgere delle piccole luci bianche. Ad esempio, mi è tornato in mente che al mattino avevo visto alcuni bambini giocare tra sporcizia e lamiere, circondati da un odore nauseante che si impregna nel naso e sui vestiti e che difficilmente svanisce. Eppure, erano felici: sorridevano, si abbracciavano. Potevano sembrare bambini di Wamba o di qualsiasi altro luogo, poiché la loro felicità non dipendeva da un bel posto in cui vivere, da vestiti firmati o dall’essere profumati. Un’altra luce bianca è stata rappresentata da un medico che lavora 24 ore su 24 in un piccolo ambulatorio nel centro della discarica; è un volontario che potrebbe trasferirsi altrove, ma ha scelto di rimanere proprio a Kibera per essere presente per chi ha bisogno. Credo non ci sia più Dio che nelle mani, nella volontà e nella gratuità ammirevole di questo dottore.

Infine, un’ulteriore luce l’ho scorta in Edwin, un giovane nato e cresciuto nella SLAM che ha deciso di rimanere per offrire un futuro migliore a quelli che, al pari di lui, sono ora bambini. Circa quindici anni fa ha fondato “Undugu Family of Home”, un’associazione il cui scopo fondamentale è estrarre i troppi bambini dalla strada e indirizzarli verso il bene, dimostrando loro che esistono vie alternative alla delinquenza, creando opportunità di studio e lavoro. È sicuramente difficile esprimere giudizi su realtà così complesse in tempi ristretti e con informazioni limitate, ma voglio credere che queste piccole luci bianche, simili ai chicchi di un buon seminatore, porteranno frutti significativi, auspicabilmente in un futuro non troppo lontano.

Valentina Peruffo

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