I miserabili

Eccolo, il film che ha vinto a Cannes il Premio della Giuria, il film che ha travolto pubblico e critica francesi, e che si è imposto, con la sua forza, fra le pellicole candidate all’Oscar per il Miglior Film Internazionale.
I miserabili non è una versione aggiornata e riadattata del grande romanzo popolare di Victor Hugo: è un film d’esordio teso, un pugno dritto in faccia. Il pugno lo sferra Ladj Ly, regista di origine maliana al suo esordio nel lungometraggio. Ma non è un ragazzino: ha quarant’anni, e alle spalle molti premi per i suoi documentari. E sulla pelle e negli occhi ha quella banlieue.
Il film è ambientato a Montfermeil, un’altra Gomorra senza bellezza e senza speranza, che Ladj Ly racconta con attenzione alla sua complessità, alla sua ferocia, alle sue leggi. È lì che Victor Hugo ha ambientato alcune pagine dei Miserabili ed è proprio lì che vive il ragazzino Issa, uno dei milioni di dimenticati da Dio, di «olvidados», come nel film di Luis Bunuel. Lì arriva Stéphane, poliziotto appena assegnato alla Brigata anticriminalità: poliziotti senza divisa, con un’auto senza insegne, in strade senza regole. Non ha neanche il tempo di ambientarsi e viene subito immerso, sommerso, travolto dalle tensioni del quartiere.
Ly realizza così, con taglio semidocumentaristico, un film di denuncia sociale che solleva riflessioni più che mai attuali su come il nascere, crescere e vivere in quartieri degradati e poveri promuova e inculchi un certo tipo di mentalità, specialmente nei più piccoli e giovani, i quali si sentono intrappolati in un mondo tanto vicino quanto distante e diverso da quello che la società impone e promuove.
La violenza, la mancanza di aspettative, di fiducia nel futuro, di educazione rigenerano generazione dopo generazione gli stessi comportamenti sociali, gli stessi stereotipi, danneggiando irreparabilmente il loro futuro. Risuonano oggi più che mai attuali le parole di Victor Hugo che chiudono questo bellissimo, ma dolente e realistico lungometraggio: non ci sono né uomini né erbe cattive, soltanto cattivi coltivatori.

Mariano Iacobellis S.I.

Tratto da “Abitare nella possibilità”

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