Con gli occhi della missione: come ci vediamo?

Un cammino di formazione per prendere elasticità con un tema, quello della missione, che ha chiesto ai ragazzi di lasciar andare di tutto ciò che non è necessario, facendo spazio per riempirlo di tanto nuovo. Brasile, Guatemala, Thailandia, Kenya, Albania, Costa d’Avorio e Bangladesh sono alcune delle nuove mete che animeranno l’estate di Missio Giovani Vicenza. E in mezzo ad un percorso che sta facendo lavorare assieme sempre più il numeroso gruppo di ragazzi – all’incirca 35 per questo nuovo anno, di un’età compresa tra i 18 e i 30 anni – si cominciano a delineare ancora di più le motivazioni che spingono dei giovani a intraprendere la strada di una breve esperienza in terra di missione. Ma quali sono gli ingredienti e il comune denominatore di questi ragazzi che si preparano a vivere l’esperienza?

«Quello che mi colpisce ogni volta da questi ragazzi è la voglia che li spinge a conoscere e a camminare assieme», racconta Anita Cervi,  formatrice e counsellor al CUM di Verona (Centro Unitario per la formazione Missionaria) e che ha animato l’incontro con i ragazzi per prepararli al viaggio. «Il fatto di conoscere sé stessi, attraverso un nuovo mondo, penso che sia la spinta e sia davvero l’aspettativa di ogni singolo ragazzo». «La spinta è l’aspettativa, cioè l’andare verso qualcosa che può scompigliare le nostre vite, porta a dare un passo diverso alla nostra vita e anche alle proprie scelte».

«Gli incontri fin qui sono stati importanti per iniziare a disarmarci» aggiunge Graziano Culpo, «entrando nella dimensione della vita che è la relazione con gli altri e con l’altro diverso da me. Credo che in questa immagine ci sia il motore che mette in ricerca questi ragazzi e che li preparara a prendere consapevolezza del viaggio che andranno ad intraprendere durante l’estate». E in questo c’è tutta la bellezza della vita, un’intuizione fondamentale per allargare orizzonti, crescendo culturalmente e scoprendosi capaci di amare. Ed è bello scoprire di volta in volta la bellezza che c’è intorno al mondo del viaggio missionario.

Martin Buber nel suo libro Il cammino dell’uomo ci aiuta a comprendere che «dentro ognuno di noi c’è la mappa della nostra vita» e che è importante esplorarla per capire dove ci troviamo e per comprendere meglio qual è il nostro cammino presente. Questa è la base per aiutarci a comprendere che abbiamo un nome, un volto, un’identità che risponde alla domanda: chi sono io? E ognuno di noi viene da una storia diversa unica ed importante. Ma cosa si aspettano i ragazzi dal loro andare?

«Incontrare l’altro ci interpella e ci porta in una realtà sconosciuta ma se veramente voglio incontrare l’altro devo prima conoscere me stesso», conclude Anita Cervi, «altrimenti saremmo portati a giudicare perché non capiamo. Nell’ andare portiamo tutti noi stessi, la nostra cultura fatta di ansia da prestazione, di complesso di superiorità, di linearità e di razzismo perché anche i nostri percorsi di studi ci confermano che siamo i più logici e i migliori perché non perdiamo tempo e il tempo è denaro per la nostra cultura. Quindi capaci e produttivi».

 

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