Martiri vicentini

«Essi sono doni inestimabili
che arricchiscono quel "Rosario di santità"
per cui la nostra Chiesa diocesana va fiera».

(Mons. Beniamino Pizziol, Vescovo di Vicenza, 2018)

“Il discepolo di Gesù di Nazareth invece ama la vita e non la disprezza, non cerca il martirio come autoimmolazione e nemmeno come perseguimento di una santità eroica – sarebbe orgoglio diabolico! – ma di fronte all’esplicita richiesta di rinnegare la propria fede con le parole o con azioni contrarie alle esigenze del vangelo, può giungere ad accettare di essere perseguitato e a consegnare la sua vita fino a morire. Il martire cristiano non è un “uomo contro” bensì un “uomo per”, una persona che sceglie di accettare la morte in nome dell’amore più grande che quotidianamente vive. A volte le circostanze della persecuzione sono particolarmente aberranti, altre volte il silenzio, l’oblio, la “normalità” avvolgono sofferenze e morte inflitte a motivo della propria fede, ma l’atteggiamento del martire cristiano non muta: chiamato ad amare i nemici, a perdonare i persecutori, sull’esempio di Gesù, fa della morte violenta inflittagli un gesto di vita e di amore, l’unico atto che può spezzare la catena delle vendette. Un gesto di cui magari pochi o nessuno verrà a conoscenza, parole di perdono che non sempre qualcuno saprà ascoltare o tramandare, momenti di angoscia e di dolore lacerante che nessuno saprà lenire, ma anche attimi di grandezza umana e spirituale, raggi di luce nel buio della disumanità. In questo senso il martire non sceglie la morte, non desidera la gloria del martirio, ma decide di vivere fino all’estremo la vita e ciò che dà senso alla vita: l’amore per gli altri”.
(Enzo Bianchi)

I martiri vicentini sono stati testimoni miti, ma decisi, non hanno dimenticato che essere cristiani vuol dire fare la scelta dei più poveri. Fino in fondo. A guardarle più da vicino, le loro storie si assomigliano: in tempi e luoghi diversi, con carnefici che hanno altri nomi, tutti sono stati eliminati perché divenuti testimoni scomodi. Niente sorprese, quindi. La loro era una morte annunciata: Mi vogliono morto, aveva confidato un giorno p. Valeriano Cobbe ad un amico. Non si sbagliava. Tutti l'hanno messo in conto il martirio, chi più, chi meno. Non senza timori: Ho avuto tanta paura!, confesserà in tutta onestà p. Egidio Ferracin, dopo essere scampato ad un'intimidazione. La parte dell'eroe non mi si addice! Nessuno sconto, quindi, per questi martiri che prima di essere religiosi e missionari, hanno dovuto fare i conti con la loro umanità: Non vi ho forse mai dato esempi di virtù eroica - scriverà p. Giovanni Botton ai suoi - ma spero avrete capito che il sacerdote è umano ed ha le debolezze degli uomini. Anche loro, uomini in cammino verso una pienezza di umanità, si sono scontrati con resistenze interiori, oltre che esteriori. Alla fine, però, hanno raggiunto il traguardo. Vittoriosi. Per tutti l'arma vincente è stata la medesima: quella dell'abbandono fiducioso e incondizionato a Dio. Senza riserve. I frutti non sono mancati: dopo un lungo e paziente tirocinio, durato una vita intera, hanno superato a pieni voti anche la prova più impegnativa, quella finale, del perdono. Non una parola di odio o di condanna infatti esce dalla loro bocca, neanche in punto di morte: Io vi perdono, io vi perdono, ripeterà in fin di vita p. Tullio Maruzzo, se è da credere a ciò che riferì uno dei suoi sicari, di lì a qualche giorno, sotto l'azione dell'alcol. La testimonianza di queste persone che si sentivano uomini come altri ricorda a tutti che è davvero possibile essere cristiani fino in fondo. Senza facili compromessi, senza rinunciatari pessimismi perché Dio comunque è più grande delle nostre lentezze, delle nostre incoerenze. Loro lo hanno fatto: si sono fidati, forti della convinzione che quel Dio che li inviava sulle strade del mondo ad annunciare il Suo amore non li avrebbe abbandonati. Così è stato. È per questo che la Chiesa vicentina oggi può fare memoria di questi quattordici suoi figli che hanno saputo vivere da profeti e morire da martiri.

Questo in fondo è il debito di riconoscenza che la Chiesa vicentina ha nei confronti dei suoi martiri. E loro non staranno ad aspettare, inoperosi. C'è da crederlo